«Vorrei delle tasse di scopo: per esempio sulle bibite gasate e sulle merendine o tasse sui voli aerei che inquinano. Faccio un’attività che inquina, ho un sistema di alimentazione sbagliato? Metto una piccola tassa e con questa finanzio attività utili, la scuola e stili di vita sani». L’idea del neo ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti per trovare tre miliardi di euro da investire nella scuola e nell’università sta facendo molto discutere in queste prime ore del governo Conte-bis. «Pane e acqua, e la scuola torna a crescere», è stata la replica sarcastica di Matteo Salvini. Ma il timore è che l’imposta possa gravare sulle famiglie, invece che sulle imprese produttrici.
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Il titolare del ministero dell’istruzione appena insediatosi sembra però avere idee molto chiare. Il piano è indirizzare gli introiti agli interventi per la scuola, col duplice obiettivo di disincentivare il consumo di cibo spazzatura e migliorare il sistema scolastico: «Con i soldi che lo Stato ricava si fanno interventi per la ricerca o la scuola. Abbiamo calcolato che solo da questi interventi si possono ricavare 2,5 miliardi». Provvedimenti che, in realtà, esistono in molti Paesi europei e non solo. Nel Regno Unito è già in vigore da anni la “sugar tax” per ridurre l’obesità, mentre quella sulle bibite gassate è stata proposta da Obama per finanziare la riforma sanitaria. Dopo il report del 2015 nell’Organizzazione mondiale della sanità che dava conto degli effetti negativi degli zuccheri sulla salute, la “sugar tax” è stata introdotta in 20 paesi e oggi sono circa 35 gli stati o le città ad averla adottata.
Neanche in Italia è una novità. Nella legge di bilancio dell’anno passato l’onorevole Carla Ruocco aveva provato a inserire una norma simile per coprire l’esclusione del regime Irap per le partite Iva fino a 100mila euro, ma la Lega si è opposta e alla fine è saltata. Ad averla riproposta, per combattere obesità e diabete, sono stati 340 tra medici, pediatri e nutrizionisti, che hanno scritto a febbraio all’ex ministro della Sanità Giulia Grillo «per chiedere una tassa del 20% sulle bibite zuccherate da destinare a progetti di educazione alimentare».
In Europa, la pioniera è stata la Norvegia, che ha introdotto la “sugar tax” già nel 1922 e ha deciso di aumentarla nel 2018 sia per i prodotti confezionati, sia per le bevande. In Ungheria è legge dal 2011, e ha fatto registrare una flessione media del 20% dei consumi di bevande zuccherate. La tassa presente anche in Gran Bretagna, Catalogna (Spagna), Francia, Irlanda, Belgio, Estonia, Portogallo e Finlandia. Il Giappone e lo Stato del Kerala in India hanno invece dato il via libera a una “fat tax” sui cibi che contengono una quantità eccessiva di grassi saturi. Una misura che in Danimarca – dove si applicava su burro, latte, formaggio, pizza, olio e carne – è stata abolita nel 2013 perché molto impopolare, così come quella sulle bibite zuccherate che era stata introdotta nel 1930. Guardando oltreoceano, negli Stati Uniti sono state Berkeley nel 2015 e Philadelphia nel 2017 le prime due città ad avere introdotto la “soda tax”, che colpisce le bevande zuccherate. Anche San Francisco, Oakland e Albany in California, Boulder in Colorado, Cook County in Illinois, Seattle nello Stato di Washington e Portland in Oregon l’hanno introdotta negli ultimi anni.