In piazza per rivendicare il diritto a morire con dignità, una legge sull’eutanasia che consenta alle persone che soffrono di non dover cercare riparo in un altro Paese per porre fine al loro dolore. “Liberi fino alla fine” è il nome emblematico della manifestazione organizzata dall’associazione Luca Coscioni con la raccolta firme per la proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia (testo depositato ormai sei anni fa) e il pieno riconoscimento del testamento biologico (che è legge dal dicembre 2016). L’iniziativa è anche l’occasione per chiedere un segnale al Parlamento a pochi giorni dal 24 settembre, ultimo giorno concesso dalla Corte costituzionale per legiferare sul fine vita e sul suicidio assistito. Il tempo sta scadendo, ma in Aula non c’è neanche un testo di base pronto per essere discusso.
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È difficile trovare una vicenda che sia più significativa dello stato di salute della politica italiana di quella sul “fine vita”. Quanto accaduto negli ultimi undici mesi rende bene l’idea di quanto la classe dirigente di questo Paese si sia dimostrata indifferente al tema. La vicenda è quella di Dj Fabo: Fabiano Antoniani era rimasto tetraplegico a causa di un incidente stradale. Nel febbraio 2017, sfinito dal dolore e dalla sofferenza per la sua condizione, decide di andare in Svizzera per poter praticare il suicidio assistito che in Italia gli è negato nonostante vari appelli pubblici e al presidente Mattarella. Nel suo viaggio dj Fabo è accompagnato da Marco Cappato, politico radicale noto per le sue battaglie sul fine vita: per questo gesto l’ex parlamentare è imputato a Milano in un processo per ‘istigazione o aiuto al suicidio’. Un reato per cui rischia una pena dai 5 ai 12 anni di carcere.
Il processo è iniziato a novembre 2017. Il Tribunale ha chiesto alla Corte costituzionale di decidere se l’articolo 580 del codice penale, quello che punisce chi aiuta in qualunque modo una persona a togliersi la vita, sia conforme alla nostra Costituzione. Il 24 ottobre del 2018 la Consulta si era pronunciata, rilevando che «l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti». Dunque, per consentire al Parlamento di intervenire la Corte di Cassazione aveva deciso di rinviare a settembre del 2019 la propria pronuncia sull’articolo 580.
In undici mesi il nostro Parlamento non è riuscito a completare l’intervento normativo. O meglio, non è riuscito nemmeno a incardinare un singolo testo, mentre si sono arenate le cinque diverse proposte presentate. I nostri rappresentanti hanno disatteso le indicazioni della Corte continuando a rimandare la discussione in Aula. Il Parlamento è rimasto paralizzato dai veti incrociati, abdicando al suo ruolo legislativo e lasciando così carta bianca alla Consulta. Che ora dovrà riprendere in mano la situazione. Sono già previste due udienze pubbliche, il 24 settembre e il 25 settembre, seguite dalla Camera di Consiglio.
Cioè: la Presidente del Senato chiama il Presidente della Corte costituzionale per bloccare la sentenza sul mio processo per l'aiuto a #djfabo ??!!
Ma a nome di chi??#Pd #m5s #ForzaItalia #Lega#FdI #leu #piùEuropa
qualcuno dica qualcosahttps://t.co/ae9QjfsnPs— Marco Cappato (@marcocappato) September 18, 2019
Undici mesi in cui si è visto di tutto, tra rimpalli di responsabilità e scuse ai limiti dell’assurdo, fino al tentativo limite della Presidente del Senato Elisabetta Casellati che si è offerta di «fare una telefonata informale alla Consulta per chiedere più tempo all’Aula prima della pronuncia». Una mossa che non ha precedenti nella storia repubblicana, come ha spiegato proprio Marco Cappato: «Sia che abbia ricevuto o meno mandato dai partiti, sarebbe gravissimo in ogni caso. Non esiste al mondo una forma di pressione politica su un organo giurisdizionale. C’è un processo in cui una persona – che sarei io – rischia dai 5 ai 10 anni di carcere. La pressione politica costituirebbe un precedente grave e pericoloso qualora rimanesse senza intervento del Presidente della Repubblica. Vorrebbe dire che di volta in volta si può chiedere di ritardare o accelerare un provvedimento. E un invasione di campo inaccettabile».
La verità è che da mesi era chiaro che non ci sarebbe stato tempo per legiferare sull’eutanasia. Alla Camera ci sono cinque proposte depositate, ma la discussione non è mai decollata. A dirla tutta, è iniziata solo a gennaio 2019, tre mesi dopo il sollecito della Consulta. Il primo testo risale al 2013 ed è proprio la proposta di iniziativa popolare formata da 4 articoli, di cui due superati dalla legge sul biotestamento. Il testo che si differenzia maggiormente rispetto agli altri è quello della Lega, firmato dall’ex alfaniano Alessandro Pagano e da Roberto Turri, perché mantiene il reato di aiuto al suicido. A fine luglio, l’ultima fumata nera alla Camera per l’avvio dell’iter della legge. Le commissioni Giustizia e Affari sociali riunite non sono riuscite a trovare un’intesa su un testo base.