La mossa di Boris Johnson, che aveva chiesto e ottenuto dalla Regina una sospensione dei lavori del Parlamento dal 10 settembre al 14 ottobre perché non intralciassero la Brexit, è stata definita «contraria alla legge» dalla Corte Suprema britannica. Non era mai successo che i giudici si pronunciassero all’unanimità contro il governo, dichiarando «illegale» e illegittima una sua decisione. La Corte Suprema conferma il giudizio della più alta corte scozzese che aveva decretato che Johnson avesse «misled the Queen», cioè fuorviato il giudizio della Regina. Ora il Parlamento sarà obbligato a riprendere i lavori e, di conseguenza, il dibattito su Brexit. Una sentenza che getta il Regno Unito in un clima ancora più caotico, a poco più di un mese dalla data fissata dalla Ue per la Brexit: il 31 ottobre.
«Il consiglio di Boris Johnson a Sua Maestà, dunque, è stato contro la legge, nullo e ineffettivo», ha decretato la baronessa Brenda Hale, presidente della Corte, a nome degli 11 giudici che si sono pronunciati sul caso. «Il Parlamento non è sospeso». Senza impedimenti legali, dunque, i deputati torneranno a Westminster già domani con l’obiettivo di impedire a Johnson di portare la Gran Bretagna verso un’uscita dall’Unione Europea senza un accordo. Non si è mai verificata una situazione come quella attuale e c’è la possibilità, per quanto molto remota, che Johnson possa essere incriminato per avere volontariamente ingannato la Regina chiedendole di sospendere il Parlamento con motivazioni pretestuose che sapeva essere false.
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La posizione di Johnson come premier è comunque diventata «insostenibile», hanno dichiarato numerosi esponenti dell’opposizione chiedendo le sue dimissioni. Il leader laburista Jeremy Corbyn ha detto che la sentenza della Corte conferma «l’abuso di potere» da parte di Johnson, che ha «mostrato disprezzo per la democrazia». La tradizione britannica punterebbe appunto a un’uscita di scena volontaria, come quella di David Cameron dopo la sconfitta nel referendum sulla Ue del 2016. Johnson però non sembra avere alcuna intenzione di dimettersi. «Ho il massimo rispetto per la sentenza della Corte Suprema, ma sono in disaccordo. Quindi vado avanti e naturalmente il Parlamento tornerà a riunirsi», ha commentato il premier da New York dove si trova per l’Assemblea generale Onu. «Il Parlamento ha avuto tre anni per dibattere la Brexit», ha aggiunto Johnson ribadendo che il Regno Unito «lascerà l’Ue il 31 ottobre».
La posizione unanime di tutti i partiti di opposizione è che dopo un’umiliazione simile Johnson deve dare le dimissioni. Se il premier si rifiuta di farlo, quindi, tutto sembra puntare a un voto di sfiducia. Spetta a Corbyn in quanto leader dell’opposizione presentare una mozione in Parlamento. Brexit però resta la priorità e nessuno vuole elezioni prima del 31 ottobre. Data la gravità della situazione e l’approssimarsi di Brexit, i deputati potrebbero optare per votare la sfiducia a Johnson e poi formare un Governo di unità nazionale con rappresentanti di tutti i partiti principali. Di norma dovrebbe essere guidato dal leader dell’opposizione, ma Corbyn si è già detto disposto a fare un passo indietro per ottenere il consenso dei deputati conservatori moderati che lo considerano un radicale. Potrebbe quindi essere scelta una persona di peso e di prestigio accettabile a tutti i partiti. Sono stati fatti due nomi. Ken Clarke, ex cancelliere e ministro della Giustizia conservatore, “padre” della House of Commons in quanto deputato di maggiore anzianità, da sempre filo-europeista e da poco cacciato dal partito da Johnson per essersi ribellato contro il Governo sulla legge anti-no deal. L’altro nome è Harriet Harman, ex ministro laburista e “madre” del Parlamento.