«È un atto dovuto» l’iscrizione di Silvio Berlusconi nel registro degli indagati nell’ambito di un procedimento per le stragi di mafia del 1993 a Firenze, Roma e a Milano. È quanto si apprende da fonti della procura di Firenze, a proposito della certificazione depositata nella cancelleria della seconda sezione della Corte d’assise d’appello di Palermo, che sta celebrando il giudizio di secondo grado sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.
Nell’ambito di questo dibattimento l’ex premier è stato citato come teste dalla difesa del senatore Marcello Dell’Utri. I legali avevano però chiesto di conoscere la veste giuridica in cui si sarebbe dovuto presentare e hanno ottenuto da Firenze una conferma ufficiale delle indiscrezioni giornalistiche circolate nel 2017. L’inchiesta su Berlusconi e sullo stesso Dell’Utri fu riaperta a seguito delle intercettazioni in carcere dei colloqui del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, che tirava in ballo il leader di Forza Italia come complice e mandante occulto degli eccidi avvenuti “in Continente”.
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Convocato per il 3 ottobre, l’ex premier aveva declinato l’invito, sostenendo di non poter essere presente in quella data per via di impegni istituzionali al Parlamento europeo. L’ex Cavaliere è stato citato dalla difesa di uno degli imputati, l’ex senatore azzurro Marcello dell’Utri, condannato in primo grado a 12 anni per minaccia a corpo politico dello Stato. Per questo nella nota depositata alla Corte d’assise d’appello di Palermo i legali di Berlusconi avevano chiesto ai giudici di chiarire preliminarmente in quale veste giuridica verrebbe sentito. Una volta che la procura generale di Palermo ha accertato ufficialmente l’iscrizione, i giudici potrebbero sentirlo solo come indagato di reato connesso in presenza dell’avvocato perché la veste di teste gli consentirebbe di non rispondere.
Indignata la moglie di Dell’Utri, che esprime «sorpresa, rabbia, incredulità, amarezza». Secondo quanto riportato dall’Adnkronos la famiglia Dell’Utri contava sulla deposizione di Berlusconi che sarebbe stata fondamentale sulle minacce allo stesso ex premier. «È meglio che non parli, meglio che non dico quello che penso. Ricordo solo che – dice Miranda Dell’Utri – la testimonianza di Berlusconi era stata ritenuta decisiva persino dalla Corte di Assise d’Appello di Palermo. Qui c’è la vita di Marcello in gioco».
Berlusconi “vittima” della minaccia stragista rivolta da Cosa nostra allo Stato per il tramite di Dell’Utri non è mai stato sentito in aula, né in fase d’indagine. Una circostanza che, secondo il legale dell’ex senatore e fondatore di Publitalia, andava sanata essendo l’esame di Berlusconi «una logica conseguenza dalla qualifica di persona offesa attribuita al medesimo nella sentenza impugnata in quanto destinatario finale della ‘pressione o dei tentativi di pressione’ di Cosa nostra». Dell’Utri, secondo la sentenza di primo grado, avrebbe svolto con continuità almeno fino al 1994 il ruolo di intermediario tra interessi di Cosa nostra e quelli di Berlusconi e ciò sarebbe dimostrato dall’esborso di ingenti somme di denaro da parte delle società di Berlusconi poi versate o fatte arrivare a Cosa nostra. «Si ha la conferma – si legge nella sentenza – che sino al 1994 Dell’Utri, che faceva da intermediario di Cosa nostra per i pagamenti, riferiva a Berlusconi riguardo ai rapporti coi mafiosi ottenendone le necessarie somme di denaro e l’autorizzazione a versarle a Cosa nostra».