L’ultima stagione della serie originale di Matt e Ross Duffer ribadisce, in appena otto episodi, il successo di un’efficace formula d’intrattenimento. Ancora una volta, la cittadina di Hawkins è minacciata da una forza oscura e un gruppo di ormai non più giovanissimi va alla ricerca di nuove avventure. Ma a rendere la produzione un vero e proprio gioiello raro è il massiccio ricorso a un nostalgico tuffo nel passato che vede il costante contorno citazionistico strizzare continuamente l’occhio all’universo audiovisivo e alla cultura pop anni ’80, in cui le vicende di Undici & Co. sono ambientate. Non è un caso che i ragazzi si ritrovino nel bel mezzo della proiezione del leggendario film di Zemeckis, “Ritorno al futuro” (1985), proprio mentre cercano di scappare alle grinfie del nemico sovietico. Parimenti, i richiami all’immaginario di quell’epoca sono onnipresenti: “Guerre Stellari”, Romero, “Magnum P.I.”, “La Cosa”, “Terminator”, “Il Giorno degli Zombie” e su tutti, “La Storia Infinita”. Gli appartenenti alla generazione che ha subito l’influenza di questi franchise si ritrovano naturalmente in un ambiente a loro familiare e accomunati da un profondo senso collettivo di appartenenza. Eppure, la storia riesce a mantenere una certa distanza da derive nerd e risulta godibile anche ai più giovani che, magari, non possono coglierne tutti i riferimenti. Il ritmo narrativo è brillante e unisce tutte le storyline tracciate dalle vicende dell’ultima e delle precedenti stagioni. Il prodotto, sviluppato in modo compatto e conforme per una fruizione quasi immediata, condensa l’impianto narrativo in otto puntate (ciascuna della durata di cinquanta minuti) nelle quali non c’è quasi mai qualcosa di superfluo. Assistendo alle peripezie dei ragazzi di Hawkings, si ha l’impressione di assistere alla visione di un lungo film da mettere pausa. Se da un lato, infatti, HBO ha toccato l’apice del successo con l’hype – modello usato egregiamente per quel che riguarda lo sviluppo della serialità di “Game of Thrones” -, dall’altro Netflix ci suggerisce che “tutto e subito” non è per forza un equivalente negativo.
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I Duffer Brothers non hanno mai nascosto il loro debito nei confronti della cultura pop, a partire dai romanzi di Stephen King, da “Carrie” a “Cujo”, passando per “Fenomeni paranormali incontrollabili”, “IT” e “Stand by Me – Ricordo di una estate”. Se il Democane rimanda subito all’infernale San Bernardo di “Cujo”, nella prima stagione Mike e Lucas si azzuffano e Undici li divide brutalmente usando i suoi poteri con un chiaro riferimento a “Carrie”. C’è quindi la cinematografia di John Carpenter: “1977 – Fuga da New York” è citato nell’episodio 2×07 (La sorella perduta) con la “fuga” di Undici a Chicago, Fog è richiamato nella colonna sonora, mentre “La cosa” è presente non solo nelle spaventose fattezze del Mind Flayer, ma anche nel discorso di Lucas sulla differenza tra l’originale e il remake nell’episodio 3×07 (Il morso), nell’uso del fuoco per combattere l’oscura creatura nella seconda stagione e nel poster che campeggia nello scantinato di Mike nella prima. Inoltre, è la pellicola che il professor Scott Clarke sta guardando quando Dustin gli telefona per sapere come costruire una vasca di deprivazione sensoriale. Altri evidenti tributi sono quelli ad “Alien” e “Aliens – Scontro finale”, “Ghostbusters”, “La storia infinita”, “Gremlins”, “Jurassic Park” (nell’episodio 3×08, La battaglia di Starcourt Mall, i ragazzini nascosti dietro al bancone del bar ricordano molto da vicino quelli nascosti in cucina nel film di Steven Spielberg), “Super 8”, “La casa”, “L’esorcista” (la possessione di Will nella stagione 2) e “I Goonies”. C’è addirittura Sean Astin – interprete di Mikey Walsh nel film di Richard Donner – qui nei panni di Bob Newby. E non passano inosservati i richiami anche a “Stati di Allucinazione”, “Indiana Jones”, “Nightmare”, “Lo squalo”, “Mad Max”, “Risky Business”, “Scanners”, “L’impero colpisce ancora”, “Witness – Il testimone e Day of the Dead” (Il giorno degli zombi, 1985) di George Romero, che non a caso si svolge per gran parte in una base militare sotterranea. I toni marcatamente dark si evolvono poi in un inseguimento nell’ospedale che riecheggia, invece, “Halloween 2” o “Hellraiser”. Quando il trio dello Scoops Ahoy decifra il messaggio dei russi e decide di intrufolarsi nella loro base, è presto chiaro che l’unico modo per farlo è passare attraverso i condotti dell’aria che percorrono tutto il centro commerciale: per farlo avranno bisogno dunque dell’aiuto dell’indisponente e pedante Erica. Il suo viaggio nelle condotte non è che un rimando chiarissimo a “Die Hard”, in cui il protagonista interpretato da Bruce Willis deve utilizzare il medesimo espediente per non farsi notare dai suoi nemici.
Il personaggio del sindaco Larry Kline, ambizioso e corrotto, è sicuramente uno dei più esecrabili di tutta la stagione. Gli presta il volto Cary Elwes, attore divenuto famoso con il cult di Rob Reiner “La storia fantastica” (1987), dove interpreta l’eroico garzone Westley. Ma il suo personaggio qui è anche un riflesso del sindaco Larry Vaughn de “Lo squalo” (1975), che tenta di insabbiare la minaccia del feroce predatore per non rovinare la stagione estiva della sua cittadina, proprio attorno al 4 luglio. Ma la rielaborazione costante di estetica e tematiche anni Ottanta segue anche il filo della serialità televisiva: da “Magnum P.I.” – guardata in replica da Hopper con la camicia floreale che non può non ricordare il personaggio interpretato da Tom Selleck – alla sitcom “Cin Cin”, seguita da Joyce che cena da sola in compagnia dei protagonisti Sam e Diane, i quali si corteggiano per diversi episodi non trovando il coraggio di mettersi insieme.
C’è persino la Guerra fredda e, ancora una volta, i russi non possono che essere gli antagonisti perfetti, intenzionati come sono a riaprire il varco che separa il nostro mondo dal Sottosopra. La minaccia sovietica rimanda a “Red Dawn” (Alba rossa, 1984), nel quale alcuni ragazzini combattono gli invasori sovietici sulle montagne del Colorado. Il temibile agente russo Grigori è invece paragonabile nell’aspetto e nei modi all’Arnold Schwarzenegger di “Terminator”, uscito nel 1984 (mentre a sua volta lo sceriffo Hopper è chiamato “Fat Rambo” dallo scienziato Smirnoff). Tra i temi più attuali all’epoca non potevano mancare gli esperimenti governativi segreti: legame tra la scienza e sovrannaturale che, sin dalla prima stagione, richiama il progetto governativo MK-Ultra, alla base degli esperimenti del Dottor Brenner su Undici e sulla madre di questa, tramite deprivazione sensoriale e droga LSD. Il progetto, avviato nel 1953 con l’obiettivo di sperimentare il controllo mentale da poter utilizzare in un eventuale scontro con l’Unione Sovietica, vedeva i partecipanti inconsapevolmente sottoposti ad abusi fisici e mentali.
Il mondo dei fumetti fa capolino fin dal primo episodio, quando Dustin rivela ai suoi amici di aver messo a punto un potentissimo radiotrasmettitore e di averlo chiamato Cerebro, come la macchina usata dal professor X degli “X-Men”. I fumetti tornano poi anche quando Eleven e Max trascorrono del tempo insieme e proprio Max propone all’amica di scegliere se leggere un volume di Wonder Woman o uno di Green Lantern (la scelta, ovviamente, ricade sulla prima). Successivamente ci sarà anche un riferimento al promezio, l’elemento chimico secondo Dustin trafficato dai russi, componente che nei fumetti Dc permette il funzionamento di Cyborg. La stessa Erica è uno dei personaggi rivelazione della scorsa stagione: la sorella di Lucas aiuta Steve, Robin e Dustin nella sua missione con i russi e il suo carattere è decisamente peperino, nonostante la sua giovanissima età e il suo aspetto bambinesco, compreso di zainetto dei “My Little Pony”. Ma come cercherà di spiegarle Dustin quella è proprio la dimostrazione che anche lei è una dei nerd che tanto disprezza: la storia alla base di uno speciale animato del 1984, “Rescue at Midnight Castle”, non è altro che la vicenda di un eroe che corre immensi pericoli per salvare i suoi simili tenuti prigionieri in un castello, un topos molto simile a molte avventure di “Dungeons and Dragon”s. E dei favolosi anni ’80 ci sono anche le lattine di Coca Cola, onnipresenti durante la serie, con Eleven che ne usa una per verificare quando i suoi poteri sono scomparsi. Ma una gag significativa si ha quando al supermercato Lucas difende la New Coke, preferendola alla versione originale tra la disapprovazione degli altri compagni. Il riferimento è alla disastrosa mossa di marketing della Coca Cola che, nell’aprile 1985, introdusse una nuova formula con un gusto completamente diverso, più dolce, seguito da grande scorno dei consumatori che la boicottarono da subito. Il gusto classico della bibita fu reintrodotto dopo appena tre mesi.
E l’epilogo di questa terza stagione di Stranger Things è indissolubilmente legato al film “La storia infinita” del 1984, a sua volta tratto dal romanzo fantasy di Michael Ende. Cantare la canzone che fa da colonna sonora al film, originariamente interpretata da Limahl, è il pegno richiesto a Dustin dalla fidanzatina a distanza Suzie che, a sorpresa, esiste davvero. I due improvvisano un duetto prima che lei gli riveli il codice per fermare la macchina dei sovietici. Ed è subito mito… Da notare, fra le altre cose, che, prima di ricevere l’appello di Dustin via radio, Suzie stava leggendo “Il mago di Earthsea”, il primo libro nella saga fantasy di Ursula K Le Guin. A fare da corollario a tutta l’ambientazione vintage non poteva mancare la musica: da “Workin’ For A Livin” degli Huey Lewis and The News a “Material Girl” e “Angel” di Madonna, da “My Bologna” (la parodia di My Sharona) di Weird Al Yankovic a “Wake me Up” degli Wham!, passando per “American Pie” di Don McLean e una toccante cover di “Heroes” di David Bowie fatta da Peter Gabriel proprio sulle ultime scene strappalacrime. La voce di Simon Le Bon intona il refrain di “Girls of Film” mentre Dustin e Lucas tentano di decifrare le trasformazioni del Demogorgone in demo-cane; la voce di Cindy Lauper con la sua “Time after Time” accompagna le indagini di Mike e Will nella dimensione del sottosopra. E al novero si aggiungono anche “Every Breath you Take” dei Police, uno “Should I Stay or Should I Go” dei Clash, e “Runway” dei Bon Jovi.
Per di più la struttura si dimostra idonea non solo a rendere omaggio a glorie del passato ma anche alla trattazione di temi più attuali che mai: il pretesto narrativo degli zombie, ad esempio, è metaforico riferimento al mostro dentro ciascuno di noi mentre la ricerca spasmodica di Nancy e Jonathan suggerisce, invece, il giovanile desiderio di emancipazione e di fiducia. Insomma, una formula semplice ma ben omogenea, che convince proprio in virtù della sua genuinità. Con i suoi 40,7 milioni di spettatori un autentico indiscutibile successo.
La terza stagione ha poi ufficialmente introdotto il primo personaggio omosessuale dell’universo creato dai fratelli Duffer, ossia Robin (Maya Hawke, splendida figlia d’arte di Uma Thurman ed Ethan Hawke), che ammette di essere attratta da una compagna di classe durante una conversazione con Steve Harrington (Joe Keery). Ma vi è un legittimo dubbio tra i fan su Will Byers, a causa di una battuta pronunciata da Mike Wheeler (Finn Wolfhard) durante una discussione che si fa sempre più accesa. Lo stesso interprete, Noah Schnapp, ha dichiarato che per lui quella frase è riferita alle esperienze di Will nel Sottosopra e a come si aspettava che tutto tornasse come prima, mentre i suoi amici invece sono cresciuti e pensano ad altro. L’adolescente con problemi di identità sessuale fugge nei giochi fantasy, dove può essere se stesso, senza inibizioni. Bisognerà aspettare la quarta stagione per scoprire cosa gli autori hanno in serbo per l’amatissimo personaggio. Sicuramente con lui ci saranno Millie Bobby Brown (Undici), Finn Wolfhard (Mike Wheeler), Gaten Matarazzo (Dustin Henderson), Caleb McLaughlin (Lucas Sinclair) e Sadie Sink (Max Mayfield). E ritroveremo anche Winona Ryder, Charlie Heaton, Natalia Dyer, Joe Keery, Cary Elwes e Jake Busey. Non dovrebbe tornare, invece, Dacre Montgomery, con il suo Billy Hargrove, sacrificatosi per salvare Undici.
E proprio la costante evoluzione di ciascun personaggio è una nota piacevolmente realistica in una serie che fin dai suoi albori ha oscillato tra l’action comedy e l’horror, riportando lo spettatore con i piedi per terra in maniera brusca, quando meno se lo aspetta. Ma la maturazione in “Stranger Things” terza stagione non avviene solo per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi: sia la narrazione che l’aspetto tecnico hanno fatto passi da gigante. Il ritmo perennemente serrato alimenta l’interesse in chi guarda e ogni finale di puntata è in grado di lasciare con il fiato sospeso, ogni storyline è coerente con le altre e non un solo personaggio è privo di un suo ruolo fondamentale. Il finale è probabilmente la nota più lieta: amaro, realistico, con una morale condivisibile e inaspettatamente efficace. L’ultimo quarto d’ora è un vero e proprio pugno nello stomaco. Perfetto, così com’è proprio, perché è lì che i personaggi raggiungono l’apice della propria evoluzione, accettando i cambiamenti, le perdite e comprendendo che la vita non sempre ci porta dove vorremmo, ma non per questo dobbiamo soccombere sotto il peso degli eventi: si può crescere e imparare dai propri errori. Questo conferma che la stagione ruota sì intorno alle tematiche già viste nelle precedenti, ma vi si approccia in modo totalmente diverso, con momenti destinati ad entrare nella storia delle serie tv, senza se e senza ma. Semplicemente, a neverending story.