La scadenza tanto discussa alla fine è arrivata. Oggi scatterà automaticamente il rinnovo del cosiddetto memorandum tra Italia e Libia sottoscritto nel 2017 dal governo Gentiloni con il capo del governo provvisorio di Tripoli Al Serraj per limitare gli sbarchi dal Nordafrica: un patto che ha effettivamente fatto crollare il flusso lungo la rotta centrale del Mediterraneo ma che al tempo stesso è stato oggetto di ripetute critiche per le violazioni dei diritti a cui sono sottoposti i migranti nei centri di detenzione libici. Sia il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ritengono che siano possibili modifiche e miglioramenti al trattato e la prossima settimana è prevista una discussione in Parlamento, ma il documento non verrà revocato.
L’accordo è figlio della situazione vissuta dall’Italia tra il 2015 e il 2017, quando l’arrivo di migranti dalla Libia e l’attività degli scafisti era all’apice. Nel 2016 gli arrivi erano stati oltre 160.000. Il flusso era alimentato dal fatto che la Libia non esercitava da tempo alcuna sorveglianza sulle sue coste e su questo punto si innesta in via primaria l’accordo promosso dall’allora ministro degli interni Marco Minniti. Il memorandum impegna l’Italia ad addestrare la Guardia Costiera libica , a fornirle mezzi e fondi. Gli effetti dell’accordo sono immediati: già da luglio 2017 unità navali libiche cominciano a pattugliare la loro zona Sar di competenza e a riportare indietro barconi e gommoni carichi di migranti. Il numero di sbarchi in Italia, secondo i dati del Viminale, crolla già nel 2017 a 111.000 che diventano 22.000 l’anno successivo.
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Luigi Di Maio, durante un’interrogazione del Pd, aveva annunciato modifiche per «favorire un ulteriore coinvolgimento dell’Onu, della comunità internazionale e delle organizzazioni della società civile per migliorare l’assistenza ai migranti salvati in mare e le condizioni nei centri» comunicando che il governo stava già lavorando con l’Unhcr, con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni e con la Commissione europea per migliorare la situazione dei diritti umani nei centri. Ma per la Commissione europea l’esistenza stessa di un accordo con la Libia è un’opzione impraticabile. La portavoce Natasha Bertaud ha ribadito che non esiste un piano europeo per la cogestione in Libia di hot spot come alternativa ai centri di detenzione e che «non c’è alcuna intenzione che questo piano esista in futuro». «Non ci sono le condizioni in Libia per considerarla un paese sicuro», ha detto Bertaud.
La Commissione europea si era già espressa in merito alla situazione in Libia. Da aprile del 2019 è in atto lo scontro tra il governo di Tripoli e le forze armate della Cirenaica guidate dal generale Khalifa Haftar, e la Libia è ufficialmente nel pieno di una guerra civile. I porti libici, quindi, come stabilito anche dall’Onu, non possono più essere considerati sicuri. La condizione non solo cambia i presupposti del bilaterale con l’Italia, ma getta ombre sul riconoscimento da parte dell’OMI (Organizzazione Marittima Internazionale) della zona Sar libica. La guardia costiera incaricata del pattugliamento dei mari è attualmente al centro di inchieste giudiziarie per aver violato i diritti umani. L’Alto commissario delle Nazioni Unite ai diritti umani, Zeid Raad al Hussein, ha denunciato l’aiuto fornito dall’Ue e dall’Italia alla Guardia costiera libica per arrestare i migranti in mare, «malgrado i timori espressi dai gruppi di difesa dei diritti umani» sulla sorte dei migranti in Libia. Anche il Tribunale dell’Aia sta attualmente indagando sull’operato dell’autorità costiera libica e sulla complicità dei leader europei. Nel giugno di quest’anno, è arrivato un esposto alla Corte penale internazionale in cui compaiono i nomi di diversi politici europei che sarebbero ritenuti «responsabili di crimini contro l’umanità» per le loro politiche migratorie dal 2014 a oggi.
Ma soprattutto, in base alla convenzione di Ginevra e in base a sentenze della Corte Europea dei diritti dell’uomo la Libia non è considerata «porto sicuro» per i richiedenti asilo: organizzazioni umanitarie hanno più volte documentato le torture, le violenze, gli stupri, le terribili condizioni di vita a cui sono sottoposte le persone ferme nei cosiddetti centri di detenzione in attesa di imbarcarsi per l’Italia. La situazione si è aggravata a luglio di quest’anno, quando le forze armate di Haftar hanno cominciato a bombardare i centri vicino a Tripoli. Sono morte oltre 50 persone nei centri di detenzione. Se non ci saranno modifiche agli accordi, l’Italia continuerà a finanziare queste strutture andando contro al diritto internazionale.