Ha diviso in due una città, un popolo, un continente, un mondo. Era uno sbarramento di ferro e cemento lungo 155 chilometri che ha fatto da casa e da prigione a più di un milione di persone per 28 anni. Ecco perché quando è caduto, il 9 novembre 1989, il Muro di Berlino ha fatto tanto rumore. L’iconografia scolpita nei ricordi è quella dei giovani che si arrampicano tirandosi su a vicenda, dei picconi che sollevano polvere dalla granitica e affollata sommità della barriera, dei martelli che aprono piccoli sprazzi di libertà, e degli idranti a cui rispondono ombrelli irridenti alzati in segno di sfida a un regime ormai agonizzante: in tre giorni, due milioni di persone passano il confine sancendo la fine di un’epoca segnata dalla Guerra Fredda e dalla contrapposizione tra le due superpotenze egemoni sulla scena mondiale: Stati Uniti e Unione Sovietica.
La storia racconta che venne costruito in una sola notte, quella del 13 agosto 1961, per fermare l’esodo della popolazione dalla Repubblica Democratica Tedesca (Ddr, o Germania Est), comunista, verso la Repubblica Federale di Germania (Germania Ovest), capitalista. Tra il 1949 e il 1961 erano fuggiti dall’est più di 2,6 milioni di tedeschi, su una popolazione totale di 17 milioni. Con il paese sull’orlo del collasso economico e sociale, il governo della Germania Est doveva fermare quell’esodo. Così la barriera di filo spinato venne man mano sostituita con lastre verticali di cemento, rafforzata da placche di metallo e supporti in laterizio. Ma al di là del muro, nella Germania Est si trovava la “striscia della morte”: recinti fortificati, tratti di filo spinato, fossati, campi minati, bunker e centinaia di torri di guardia. Scavalcare il muro significava ricevere una pallottola nella schiena. Ma oltrepassare quella barriera significava anche accedere a condizioni di vita migliori. Questo avranno pensato le 138 persone che morirono nel tentativo di compierlo, quel passo.
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Ma c’è anche chi è riuscito nell’impresa di arrivare nella Germania Ovest, a riunirsi con le proprie famiglie, a vivere quel sogno di libertà. Si stima che siano circa cinquemila quelle che sono riuscite a scappare, anche se questa cifra è stata spesso messa in discussione. Chi è fuggito lo ha fatto nascondendosi nelle automobili, passando furtivamente i varchi di confine, lanciandosi con carri armati attraverso le strutture fortificate, nuotando attraverso il canale di Teltow, vogando su un materassino gonfiabile sulla Sprea, o strisciando all’interno di tunnel scavati sotto il muro. Tra i più spettacolari ci fu il funambolo di un circo che raggiunse l’ovest camminando su un filo elettrico in disuso.
Ma un giorno, all’improvviso, la frase di un portavoce del governo della Ddr cambiò tutto. Ma solo perché nel frattempo la Storia, quella con la S maiuscola, si era messa in moto verso l’inevitabile. La prima tappa della riunificazione andò in scena nell’agosto 1989, quando l’Ungheria eliminò le restrizioni alla frontiera con l’Austria, creando così la prima “breccia” nella cortina di ferro. Migliaia di tedeschi orientali raggiunsero l’Ovest attraverso l’Ungheria, il muro di Berlino non aveva più ragione di esistere. Pochi mesi dopo, il 9 novembre 1989, in conferenza stampa il portavoce del governo della Germania Est, Gunter Schabowski, annunciò che a tutti i berlinesi sarebbe stato permesso di attraversare il confine. Da un lato e dall’altro la popolazione si riversò contro il muro. Fu una massa impossibile da arginare. Il Muro di Berlino, simbolo della Guerra fredda e della divisione del mondo in due blocchi ostili, iniziò a crollare sotto i colpi dei tedeschi dell’Ovest e dell’Est, che finalmente poterono riunirsi in un unico popolo e Paese. Una riunificazione che ha cambiato la Germania, quindi l’Europa, quindi il mondo.