Tassa sulle bibite zuccherate. Tassa sulle auto aziendali. Tassa sui voli. Tassa sulla plastica. Tassa sugli assorbenti femminili. Con l’approvazione della manovra alle porte si fa un gran parlare di tasse in Italia. Ma lo si è sempre fatto fin dai tempi della Roma Imperiale, la penisola e i suoi abitanti si sono visti imporre le tasse più bizzarre. Nel corso della storia antica romana, per esempio, non sono mancate le famose tasse sulla raccolta delle urine di Vespasiano, le tasse sui beni di lusso femminili (abiti sgargianti e trucchi eleganti) e la tassa sul celibato che fu poi ripresa da Mussolini.
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Ma anche l’Italia repubblicana non è da meno: nel 1931 divenne effettivo il regio decreto n. 1393, che prevedeva una tassa per chi possedeva cani che fu abrogata definitivamente solo nel 1991. Due anni fa si era parlato di reinserire una tassa simile per chi non sterilizza i cani, ma si è pensato che molti padroni avrebbero abbandonato i loro animali pur di non pagarla, e la proposta è stata bocciata.
Dieci anni fa, alcuni ricorderanno, la destra capitanata da Daniela Santanché fece una crociata contro la pornografia, cercando di imporre una tassa sul materiale pornografico (videocassette e riviste). La pornotax, come fu chiamata, fu al centro di un grande dibattito persino fuori dall’Italia tanto che il The Economist inglese la definì «inutile e moralista», ma alla fine la Santanché ebbe la meglio. La tassa era stata proposta per la prima volta nel 2002 da Vittorio Emanuele Falsetta di Forza Italia ma il decreto attuativa arrivò solo nel 2009. La tassa è ancora in vigore, anche se probabilmente aveva ragione l’Economist a definirla inutile, dato che il porno si fruisce ormai solo su internet e riviste e videocassette sono diventate materiale per nostalgici.
Infine, un’altra delle tasse più assurde ancora in vigore è la cosiddetta tassa sull’ombra: la legge permette ai singoli comuni di emettere una delibera di pagamento verso quei negozi che, muniti di tende o insegne, ‘invadono’ il suo pubblico con le loro ombre. Il pagamento può arrivare dai 2 agli 8 euro per metro lineare. Nemmeno l’ultimo viaggio è gratis. C’è una lunga serie di tributi che le amministrazioni comunali possono esigere dalla famiglia di un defunto. Si va dalla tassa per il rilascio del certificato di constatazione di morte al diritto fisso sul trasporto dei defunti, dalla tassa per la manutenzione all’imposta di bollo sulla domanda di affido personale delle ceneri e sulla loro dispersione. La situazione varia da città a città. C’è chi non fa pagare nulla, chi esige solo una marca da bollo e chi, come il Comune di Roma, chiede fino a 490 euro all’anno per un loculo provvisorio.
Se negli Stati Uniti è comune vedere la bandiera a stelle e strisce sventolare dalle abitazioni private, in Italia è un’evenienza ben più rara. A scoraggiare tali manifestazioni di patriottismo contribuisce il Decreto Legislativo 507 del 1998, che assimila l’esposizione del tricolore alla pubblicità e impone un pagamento di 140 euro all’anno. Non sono invece previsti tributi per gli stendardi regionali ed europei. E poi c’è la tassa sulle tasse. Il termine tecnico è “aggio” e indica la remunerazione che l’agente della riscossione percepisce per la sua attività. Fino al 2012 era fissato al 9% delle somme riscosse poi, complice la crescente impopolarità di Equitalia, fu progressivamente ridotto. Gli “oneri di riscossione” (oggi si chiamano così) sono ora pari al 6%, percentuale che scende al 3% qualora si saldi la cartella entro 60 giorni dalla notifica.