«Per Alitalia non c’è una soluzione di mercato a portata di mano», ha ammesso il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. «Non è una proroga al consorzio che si stava costruendo perché quella strada lì non c’è più», aggiunge il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli. Il governo cerca così strade alternative per risollevare le sorti di Alitalia, dopo il fallimento del tentativo di salvataggio privato. Il flop sull’operazione arriva dopo almeno un decennio di tentativi di privatizzare l’ex compagnia di bandiera, «mai riusciti» dice Patuanelli. La strada della trattativa era già stata pregiudicata la scorsa settimana, quando il gruppo Atlantia si era sfilato dal consorzio. Appresa la notizia anche le Ferrovie dello Stato, capofila del progetto di salvataggio, si sono chiamate fuori.
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Alitalia, in crisi da molti anni, perde ormai più di un milione di euro al giorno. Dal maggio del 2017 si trova in amministrazione straordinaria, quando i precedenti proprietari, la compagnia degli Emirati Arabi Uniti Etihad e la cordata di imprenditori italiani CAI, hanno ammesso la crisi della società. Oggi Alitalia sopravvive grazie a due prestiti arrivati dal governo italiano: uno da 900 milioni di euro, concesso nel 2017, e uno da 400 milioni, concesso poche settimane fa.
Negli ultimi anni i vari governi che si sono succeduti hanno cercato in ogni modo di trovare compratori per la società, senza riuscirci. Nessuna grande compagnia aerea vuole acquistare Alitalia alle attuali condizioni, carica di debiti e con più di 11 mila dipendenti. L’ultimo tentativo di trovare dei compratori sembrava essere arrivato a un passo dalla conclusione, e prevedeva un’alleanza tra Ferrovie delle Stato e Atlantia, la holding autostradale della famiglia Benetton. I partner minori dell’affare avrebbero dovuto essere il ministero dello Sviluppo Economico e la compagnia statunitense Delta Airlines. Il consorzio però si è sfaldato nelle ultime settimane: Atlantia, in particolare, sembra avere deciso definitivamente di non partecipare al consorzio a causa dell’assenza da parte del governo di garanzie sul fatto che le sue concessioni autostradali non saranno ritirate in seguito alla vicenda del Ponte Morandi.
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Per alcuni giorni il governo aveva sperato nella possibilità di trovare nuovi investitori privati. Ma adesso ha dovuto prendere atto che non c’è un compratore. Come ha detto oggi il viceministro dello Sviluppo economico Stefano Buffagni, «è arrivato il momento di prendere decisioni difficili». Le strade sono sostanzialmente due. La prima è lasciare che le cose facciano il loro corso e quindi aspettare che Alitalia fallisca. Significa lasciare senza un lavoro oltre 10 mila persone. Ma non sembra un’alternativa politicamente praticabile.
L’altra è che il governo decida di intervenire nuovamente nella società, come aveva già fatto con il prestito ponte nel 2017, nel 2006 e in altre occasioni ancora precedenti. L’intervento potrebbe assumere varie forme: un nuovo prestito ponte per prolungare la vita della compagnia nell’attesa che si presenti un nuovo compratore, oppure la creazione di una “bad company” in modo da separare la parte con i debiti dalla parte sana della società e rendere quest’ultima più appetibile per gli eventuali acquirenti. In ogni caso, questo intervento sarà un impegno che costerà allo Stato svariate centinaia di milioni di euro. Al momento tra le ipotesi allo studio del Governo per risolvere la questione c’è quella di nominare un super-commissario.