Giustizialismo o garantismo. Certezza del diritto o durata ragionevole dei processi. Garanzie costituzionali che il sistema giudiziario italiano non è in grado di garantire, se è vero che per ottenere una sentenza definitiva in ambito penale ci vogliono 3 anni e 9 mesi, tra i peggiori dati della Ue, e in ambito civile ben otto anni (fonte: rapporto del Consiglio d’Europa relativi al 2016). Su un punto, insomma, non c’è margine di discussione: i processi, nel nostro Paese, durano tanto anzi troppo andando spesso in prescrizione. L’elenco di chi ne ha usufruito è lungo: da Giulio Andreotti a Silvio Berlusconi (per reati ipotizzati che vanno dal finanziamento illecito al falso in bilancio fino alla corruzione); dall’ex editore de La Repubblica Carlo De Benedetti (accusa di corruzione nelle forniture pubbliche) a due uomini chiave per la Fiat, come Franzo Grande Stevens e Gian Luigi Gabetti (agiotaggio Ifil-Exor); dall’ex numero uno di Eni e Enel, Paolo Scaroni (disastro ambientale) al multimilionario svizzero Stephan Schmidheiny (morti Eternit a causa dell’amianto); dal potente finanziere Fabrizio Palenzona (conti esteri non dichiarati) all’ex padrone del calcio italiano Luciano Moggi (associazione per delinquere).
LEGGI ANCHE: Come funziona la prescrizione in Europa
Tra le fila degli impuniti anche decine e decine di parlamentari ed ex parlamentari: Umberto Bossi (truffa aggravata sui rimborsi elettorali), Denis Verdini (corruzione), Alfonso Papa (P4, Roberto Calderoli (resistenza a pubblico ufficiale). Una lista infinita che se si guarda alla politica viene allungata dai nomi di sindaci, consiglieri regionali, governatori e arriva fino a Beppe Grillo (violazione dei sigilli durante una manifestazione No Tav) fondatore e garante del M5s che però si è battuto e ha approvato la riforma sulla prescrizione, ora osteggiata da quasi tutti i partiti.
Stando a com’è formulata dalla riforma dell’istituto inclusa nella legge “Spazzacorrotti” approvata un anno fa, consiste nello stop ai termini dopo la sentenza di primo grado, sia di condanna che di assoluzione. «Ritengo che in Italia sia una conquista di civiltà il fatto che se si arriva alla sentenza di primo grado, dopo non è più possibile che il processo cada nel nulla – ha spiegato il guardasigilli Alfonso Bonafede – a quel punto lo stato si deve sentire obbligato a dare una risposta di verità e giustizia». Per chi si oppone a questa visione, compreso l’alleato del governo Pd, una simile impostazione condanna non solo a una serie di processi infiniti ma soprattutto rischia di ingolfare ancora di più il sistema giustizia.
La prescrizione è stata per anni l’ancora di salvezza delle classi dirigenti. Nel 2005 il governo Berlusconi vara una riforma che di fatto dimezza i tempi di prescrizione, ma solo per gli incensurati. In quel 2005 il problema maggiore per Berlusconi è rappresentato dai processi per corruzione giudiziaria (il caso “Toghe sporche”) per i quali è stato condannato in primo grado il deputato Cesare Previti, storico avvocato civilista di Berlusconi. Le condanne di Previti rischiano di essere confermate in Appello e, se lo fossero pure in Cassazione, gli spalancherebbero le porte del carcere. Ecco dunque approdare alla Camera una legge nata per inasprire le pene per i condannati recidivi, ma che di fatto dimezza i termini di prescrizione per chi non ha altre condanne definitive: per la corruzione, ad esempio, la scadenza massima scenderebbe da quindici a sette anni e mezzo, anche senza le attenuanti generiche. In pratica tutti i reati di cui sono accusati Previti, e in altri processi, lo stesso Berlusconi vengono prescritti dal tempo. Diversi, dunque, i procedimenti che riguardano Silvio Berlusconi che si sono conclusi con la prescrizione: Lodo Mondadori, All Iberian, falso in bilancio per il caso Lentini, rivelazioni sull’inchiesta Bnl-Unipol, tangenti a David Mills. Ma non solo numerosi politici sono riusciti a rimanere impuniti: dal processo Eternit a quello Cassiopea si sono conclusi con la prescrizione.
Il processo contro i vertici dell’Eternit per le morti per amianto si apre a Torino nel 2009. Nel 2012 il Tribunale condanna l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, ex presidente del consiglio di amministrazione della compagnia, e Louis De Cartier de Marchienne, ex direttore dell’azienda, a 16 anni di reclusione per «disastro ambientale doloso permanente» e per «omissione volontaria di cautele antinfortunistiche». Nel 2013 in Appello la pena è aumentata a 18 anni. Il 19 novembre del 2014 la Corte di Cassazione annulla la condanna dichiarando il reato prescritto.
Si è conclusa con la prescrizione dei reati ambientali anche l’inchiesta Cassiopea, una delle più grandi indagini sulla gestione illecita dei rifiuti. L’inchiesta partita nel 1999 porta al rinvio a giudizio di 97 persone, tra imprenditori e faccendieri con le accuse di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale e all’avvelenamento delle acque. Il processo inizia nel 2003, nel 2011 dopo una serie infinita di ritardi, scatta la prescrizione.