Una Commissione europea quasi tutta al femminile. Una presidente donna per la Bce. E dal 9 dicembre in Finlandia la prima ministra, Sanna Marin, è la più giovane al mondo a capo di una coalizione di partiti tutti a guida femminile. A raccontarla con queste notizie sembra che la questione della partecipazione femminile alla politica in Europa stia vivendo un risveglio.
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Anche se ancora pochi Paesi europei hanno una donna come capo del governo. In totale sono solo sei su 31 (il 19,3%): Austria con Brigitte Bierlein, Belgio con Sophie Wilmès, Danimarca con Mette Frederiksen, Germania con Angela Merkel, Islanda con Katrín Jakobsdóttir e Norvegia con Erna Solberg. A cui si aggiunge ora anche la Finlandia, con Sanna Marin.
Tre esecutivi in Europa hanno più ministre che ministri: la Svezia di Stefan Löfven (12 donne e 10 uomini), la Francia di Édouard Philippe (9 donne e 7 uomini) e la Spagna di Pedro Sánchez (9 donne e 8 uomini), che ora sta cercando di formare un nuovo governo dopo le elezioni di novembre scorso. A questi tre si aggiunge lo stesso governo uscente finlandese, del dimissionario Antti Rinne, che aveva già una maggioranza femminile (11 ministre e 7 ministri). Il Paese Ue con meno donne al governo è invece la Lituania (una sola ministra su 14), mentre in cinque hanno solo due ministre: Cipro, Estonia, Grecia, Malta e Ungheria. Lettonia, Romania e Belgio ne hanno invece tre a testa. Con oltre il 40% di ministri donne ci sono poi i Paesi Bassi di Mark Rutte e l’Austria di Brigitte Bierlein.
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L’Italia di Giuseppe Conte ha invece 7 ministri donne su 21 (un terzo). Nei primi trent’anni della Repubblica i consigli dei ministri furono composti interamente da uomini. Nel 1976 il presidente del consiglio Andreotti, nel suo terzo governo, nominò la prima ministra: Tina Anselmi, destinata al ministero del lavoro e della previdenza sociale. Il tabù di una donna nella stanza dei bottoni era stato scalfito, ma non ancora infranto. Nel 1979 il nuovo premier Francesco Cossiga chiuse l’esperienza delle donne al governo. Seguirono l’esempio i successori Forlani e Spadolini. Tra il 1982 e il 1987, in quattro governi guidati alternativamente da Fanfani e Craxi, il ministero della pubblica istruzione venne diretto ininterrottamente da una donna, Franca Falcucci. Con il governo De Mita (1988) per la prima volta furono due le ministre: Rosa Russo Iervolino (agli affari sociali) e Vincenza Bono Parrino (ai beni culturali).
La prima Repubblica si chiude con un primo record di presenza femminile (10,7% di donne nel governo Ciampi del 1993), ma si torna subito indietro e la seconda si apre con tutt’altro segno. Nei governi Berlusconi I e Dini (1994-’96) la quota scende attorno al 5%. Nei successivi esecutivi di centrosinistra la percentuale raggiunge un picco del 22% nel governo D’Alema I. Tra il 2000 e il 2006 la presenza femminile al governo si contrae nettamente, prima con l’Amato II (15%) e poi Berlusconi II e III (8%). Con il secondo governo di Prodi (2006) e il quarto di Berlusconi (2008) la quota di ministre risale fino ad avvicinarsi ad un quarto del totale. L’avvento dei tecnici, nel 2011, abbassa nuovamente la percentuale. Nel 2013 è stato eletto il parlamento con più donne della storia repubblicana, e anche la presenza di donne negli esecutivi ha registrato un’impennata. Nel breve esecutivo di Enrico Letta (2013) le donne ricoprono quasi un terzo dei ministeri. Con quello di Renzi per la prima volta la metà dei ministri è donna. Nel primo governo Conte le donne ministro sono 5 su 18.