Cinque persone sono state condannate a morte e altre tre hanno ricevuto una sentenza per un totale di 24 anni di prigione in Arabia Saudita per l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato saudita ad Istanbul nel 2018. Tra le persone condannate non c’è Saud al-Qahtani, stretto consigliere del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Secondo le indagini condotte dagli esperti dell’Onu c’erano «prove credibili» di responsabilità individuali del principe e del suo consigliere.
The Public Prosecutor: Capital punishment for (5) individuals for committing and directly participating in the murder of citizen Jamal Khashoggi. pic.twitter.com/96VJTgz8TE
— Foreign Ministry 🇸🇦 (@KSAmofaEN) December 23, 2019
Il 2 ottobre 2018 Jamal Khashoggi, un giornalista saudita del Washington Post residente negli Usa, entrò al consolato di Istanbul per ottenere un documento per sposare la fidanzata turca Hatice Cengiz. Qui si persero le tracce del giornalista, il cui corpo non è mai stato ritrovato. I frammenti di intercettazioni, e parzialmente le stesse ammissioni di Riad, fanno ritenere che la sede diplomatica, in quelle ore, fu trasformata in una vera e propria macelleria: si ritiene che, dopo aver strangolato il giornalista, i suoi carnefici lo abbiano fatto a pezzi e disciolto nell’acido.
LEGGI ANCHE: «Non respiro»: le ultime parole di Khashoggi
Nel processo Riad ha incolpato i servizi segreti «deviati» e incriminato 11 persone. Di diverso avviso, però, il rapporto della Commissione Onu per i diritti dell’Onu che, lo scorso giugno, ha lanciato sospetti pesanti sui vertici del regno e sollecita ulteriori indagini sul principe Mohammed bin Salman. Il dossier di 101 pagine contiene dettagli raccapriccianti, a cominciare dalle ormai famose registrazioni audio dei servizi segreti turchi che si riferiscono a Khashoggi come all’«animale sacrificale». Secondo l’Onu è impossibile che i funzionari abbiano agito in autonomia. Una valutazione coincidente con quella della Cia che ha sempre sostenuto che la fine di Khashoggi era parte di un’azione più ampia per silenziare voci contrarie alla monarchia e con buoni agganci in Occidente, Usa compresi.
Nel documento delle Nazioni Unite su quanto avvenuto lo scorso ottobre al collaboratore del Washington Post si definisce il suo omicidio come «un crimine internazionale del quale lo Stato dell’Arabia Saudita è responsabile in base alle leggi internazionali sui diritti umani» e «un’esecuzione deliberata e premeditata». Secondo la relatrice speciale Onu, Agnes Callamard, che chiede un’indagine a livello internazionale, la morte di Khashoggi fu un omicidio extragiudiziale, il tentativo di rapirlo una violazione delle leggi a tutela dei diritti umani, forse classificabile come tortura, le indagini condotte dall’Arabia Saudita e dalla Turchia non hanno rispettato gli standard internazionali.