Il tragitto casa-ufficio, che sia in treno o in bus, può essere considerato orario di lavoro. A condizione che in quel lasso di tempo si svolgano alcune delle mansioni previste dal proprio contratto. La rivoluzione è partita dalla Svizzera il 1° gennaio ed interessa i lavoratori pubblici. «Una maggiore flessibilità nella forma del lavoro è un’esigenza dei nostri giorni», ha detto Anand Jagtap dell’Ufficio federale del personale. La nuova direttiva è la conseguenza anche dell’evoluzione tecnologica, che con un portabile e una connessone Internet permette di svolgere ovunque gran parte del lavoro tradizionalmente sbrigato in ufficio.
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Sono 38 mila i dipendenti pubblici che mediamente impiegano 62 minuti al giorno per andare e tornare dal lavoro. Questa innovazione nasce da una modifica della direttiva «Lavoro mobile nell’Amministrazione federale», dove si legge che «lo svolgimento del lavoro durante il viaggio per recarsi in ufficio» può essere approvato a condizione che il tipo di lavoro, la durata e le condizioni del viaggio» lo rendano possibile. Quindi, viene finalmente riconosciuto che è lavoro se si risponde a una telefonata del capo, si inviano e si ricevono e-mail o messaggi via social con indicazioni, solleciti e chiarimenti sugli impegni della giornata.
La direttiva però stabilisce che siano i vari capi ufficio a individuare i lavoratori-pendolari che potranno usufruire della nuova norma. Inoltre, gli stessi dovranno dimostrare di aver in qualche modo lavorato mentre si spostavano da casa verso l’ufficio e viceversa. È difficile, tuttavia, che ci siano dei quadri che si oppongano alla normativa, visto che in Svizzera la tendenza, per ora soprattutto nel privato, è quella di consentire sempre di più la flessibilizzazione degli orari. Un esempio, in tal senso, venne dato, lo scorso anno, dell’allora ministra dei trasporti, Doris Leuthard, immortalata dallo smartphone di un pendolare mentre lavorava, insieme alla propria segretaria, seduta sui gradini di una carrozza a due piani del treno Berna-Zurigo.