La missione dell’Ue a Tripoli, prevista per martedì 7 gennaio, guidata dall’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera, Josep Borrell, e alla quale avrebbe partecipato anche il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, «è stata rinviata a data da destinarsi, alla luce delle condizioni attuali». Lo rende noto il ministero degli Esteri del Governo di accordo nazionale libico.
La missione Ue si prefiggeva di avere colloqui diretti sia con il capo del governo legittimato dall’ Onu, Serraj, sia con il generale Haftar. Il recente invio da parte della Turchia di oltre un migliaio di miliziani siriani filoturchi, a sostegno di Serraj, ha complicato non poco le cose. Nell’ area la situazione è incandescente e ai problemi legati alla sicurezza, ai corridoi diplomatici che i libici potranno e vorranno garantire, si aggiungono motivi di opportunità politica dopo i razzi lanciati, presumibilmente da forze armate legate ad Haftar contro la caserma dei cadetti di Tripoli causando almeno 30 vittime e l’immediata reazione dell’esercito di Serraj, che ha causato almeno tre vittime sull’altro fronte.
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Ma venti di guerra agitano non solo la Libia. Da Ovest a est, da Tripoli a Teheran, l’uccisione del generale Soleimani ha messo in luce ancora una volta la paralisi di un’Europa che si trova a fare da spettatore. Ma se i confini di Iraq e Iran sembrano fin troppo lontani da Bruxelles, la guerra in Libia è alle porte di casa. Ma l’Europa ha abdicato ad avere un ruolo già da molto tempo: da quando nel 2011 l’azione militare guidata dalla Nato, e fortemente voluta dalla Francia, ha messo fine al regime di Muammar Gheddafi. Da allora la Libia è precipitata in una guerra civile che nel 2014 è sfociata in una formale spartizione del Paese tra Haftar a ovest e Sarraj a est.
Bruxelles, dopo un anno di continui combattimenti e avvertimenti tra Tobruk e Tripoli, è stata spinta all’azione solo quando, a dicembre, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato di voler entrare militarmente in Libia, ovvero reclamare un ruolo nel Mediterraneo dopo che Israele, Cipro e Grecia hanno tagliato fuori Ankara dalla corsa ai diritti di trivellazioni di petrolio e gas. Il messaggio di Erdogan era chiaro: non avrebbe tollerato alcuna mossa mirata a escludere la Turchia dalla gestione delle risorse energetiche del Mediterraneo orientale. E così il Sultano si è fatto avanti, sfruttando quel vuoto politico lasciato dall’Europa e offrendo quella protezione che Sarraj si aspettava da Bruxelles.
L’invio di militari ha seguito così la firma di due protocolli tra il governo di Tripoli di Fayez al Serraj ed Erdogan, il primo relativo il riconoscimento della giurisdizione turca su un tratto di mare al largo del Mediterraneo; il secondo riguardante forme di cooperazione militare tra i due eserciti. Così facendo Erdogan ha aperto una nuova faglia nel conflitto Mediorientale, con Turchia e Qatar da un lato ed Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto dall’altro. La guerra per procura tra i due campi si sta svolgendo sia in Libia che in Siria con l’Europa che in entrambi gli scenari non è riuscita a nemmeno a trovare un’intesa su una politica comune.