Ai rider vanno applicate le stesse tutele del lavoro subordinato. Lo ha stabilito la Cassazione respingendo il ricorso di di Foodora, l’ex azienda specializzata nella consegna di cibo a domicilio, e confermando la decisione della Corte d’Appello di Torino che un anno fa aveva accolto, per una parte sostanziale, il ricorso di cinque ex rider della multinazionale tedesca che chiedevano il riconoscimento della subordinazione del rapporto di lavoro.
In primo grado, le istanze erano state integralmente respinte. Mentre la decisione della Cassazione spinge a rivedere il riconoscimento del rapporto di lavoro non più come autonomo, ma all’insegna di una collaborazione diretta per tutti gli app fattorini che lavorano per le aziende del delivery. «Si applica la disciplina del lavoro subordinato – si legge nella sentenza della Cassazione – tutte le volte in cui la prestazione del collaboratore abbia carattere esclusivamente personale e sia svolta in maniera continuativa nel tempo e le modalità di esecuzione della prestazione, anche in relazione ai tempi e al luogo di lavoro, siano organizzate dal committente».
Le conseguenze della sentenza sono dunque destinate a cambiare radicalmente le condizioni di lavoro di migliaia di ragazzi che, zaino termico in spalla, attraversano in lungo e in largo le città in bicicletta per cinque euro lordi all’ora. «La decisione della Cassazione conferma quanto aveva inteso la legge. Il riconoscimento del rapporto di subordinazione deve essere un motivo per le aziende a prevedere nuove condizioni per i suoi lavoratori. A maggior ragione visto che c’è una legge approvata che non è ancora stata rispettata», spiega Giulia Druetta, uno dei legali degli ex fattorini Foodora.
«Vittoria! Ora che la giustizia si è espressa in modo definitivo, siano gli ispettorati del lavoro a fermare il cottimo, e la politica dia pieni diritti, dignità e sicurezza a questi lavoratori». Il capogruppo di Liberi Uguali Verdi in Regione, Marco Grimaldi, commenta il pronunciamento della Corte di Cassazione. Che aggiunge: «C’è una nostra legge che ormai da un anno vieta la retribuzione a cottimo in Piemonte. Come ha ribadito a inizio anno l’intero Consiglio Regionale, è davvero il momento di fare in modo che questa norma sia pienamente applicata e i controlli siano svolti regolarmente».