«Non chiediamo riconoscimenti ma ascolto: abbiamo orecchie, occhi e cuori sparsi per l’Italia e tante storie da raccontare che varrebbe la pena concedersi il tempo di ascoltare». In una lettera aperta indirizzata al premier Giuseppe Conte e pubblicata su Repubblica, le 6mila Sardine chiedono al presidente del Consiglio di occuparsi di alcuni temi, per cui servono delle risposte. Così, le Sardine dettano a Conte un’agenda politica, basata su Sud, sicurezza e dignità. «Non siamo un partito – precisano – e neanche un governo ma quella connessione che la politica va cercando da decenni e quell’abbraccio che per troppo tempo è mancato tra noi italiani. Siamo il ritorno alla partecipazione, ma non presentiamo conti da saldare. Abbiamo però un obiettivo: intendiamo arrivare dove gli slogan del populismo rischiano di ingannare gli elettori di oggi per poi generare i delusi di domani».
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C’è voglia tanta voglia di partecipazione, ma il movimento non si limita a questo e spera di trovare insieme a Conte «i fili giusti, per tessere percorsi e provare a sciogliere nodi». Il primo nodo è legato al Sud, che «malgrado tutto conserva la sua dignità e aspetta solo di divenire rete, parte di un coraggioso e fiero intreccio finalizzato alla crescita e alla cura». Poi c’è la sicurezza, nelle sue diverse forme: «sicurezza di un lavoro e sul lavoro, sicurezza di assistenza sanitaria, sicurezza di accesso ad un’istruzione di qualità». E, infine, le Sardine chiedono interventi sulla dignità della Democrazia, «quell’arteria vitale che ogni giorno, nella vita di ogni cittadino, collega la libertà al rispetto delle regole, la vita reale a quella virtuale, e che può aiutare a capire la differenza tra la politica con la P maiuscola e i suoi innumerevoli surrogati».
Temi su cui si è già discusso ma, a detta delle sardine, non abbastanza, perché quando il concetto di Sicurezza viene messo in contrapposizione al salvataggio di vite umane, si generano eclissi della ragione e sonni della civiltà. Quando il problema del Sud diventa l’invasione degli stranieri e non la fuga degli autoctoni o l’assenza di opportunità, si esclude ogni possibile sinergia tra l’accoglienza e la permanenza». «Nutriamo profondo rispetto verso le Istituzioni- scrivono ancora- e abbiamo un alto senso dello Stato: è per questa ragione che abbiamo sentito l’urgenza di metterci la faccia e il corpo in un momento di grave crisi di valori. Preferiamo i politici coraggiosi e lungimiranti a quelli che ogni giorno dicono di risolvere un problema. Vogliamo essere l’argine laddove una certa politica genera macerie, legittima un linguaggio d’odio che colpisce chi non risponde a precisi schemi sociali di potere, disegna cornici entro le quali la diversità e la pluralità costituiscono un ostacolo invece che un’opportunità».
E concludono chiedendo a Conte un dialogo: «Non ci presentiamo a Lei nelle vesti di oracoli ma ci conceda, per un giorno, di sentirci come Ermes. Smettiamola di considerarci solo come elettori e politici. Iniziamo a onorare i nostri ruoli di cittadini e amministratori. Ognuno faccia la sua parte ma torniamo a dialogare. Crediamo possa essere questo il primo nodo da sciogliere, il primo passo verso un’Italia migliore».