È un accordo in quattro punti che potrebbe chiudere la guerra più lunga sostenuta dagli Stati Uniti e procedere al ritiro, entro 14 mesi, dei 13 mila soldati americani dall’Afghanistan. L’accordo, arrivato alla fine di faticosi e lunghi negoziati, non metterà necessariamente fine alla guerra afghana, che dura da 19 anni, in cui sono morti circa 2.500 militari americani e moltissimi civili afghani (circa 3.500 ogni anno) ma è considerato comunque un punto di partenza importante per futuri colloqui.
Gli Stati Uniti si impegnano a smantellare progressivamente la presenza delle proprie forze militari e di quelle degli alleati (tra cui 900 soldati italiani). La prima riduzione entro 135 giorni: il contingente americano scenderà a 8600 unità, con la chiusura di cinque basi. Dopo nove mesi e mezzo, se tutto andrà come previsto, non ci sarà più un solo soldato straniero in Afghanistan.
Tra gli altri punti, si dice che il governo afghano chiederà al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di rimuovere le sanzioni applicate al momento a diversi leader talebani, ed è prevista anche la scarcerazione di 5mila membri dell’organizzazione attualmente nelle prigioni afghane. In cambio, i talebani dovrebbero liberare mille militari afghani. Come condizione per il ritiro totale dei militari americani, i talebani dovranno impedire agli estremisti di usare il paese per progettare attacchi contro gli Stati Uniti o i loro alleati.
La guerra iniziò nell’ottobre 2001, quando il presidente statunitense George W. Bush ordinò all’esercito americano di invadere l’Afghanistan in risposta all’attacco dell’11 settembre compiuto negli Stati Uniti da Al Qaeda. Allora Al Qaeda era l’organizzazione terroristica più potente del mondo e aveva le sue basi in territorio afghano, protette dal regime dei talebani, un gruppo radicale che governava l’Afghanistan dalla seconda metà degli anni Novanta.
Tuttavia l’accordo non è stato siglato tra Stati Uniti e governo afghano, ma con i talebani. Questi ultimi dovranno quindi accordarsi con il governo centrale di Kabul per discutere la possibile futura sul ruolo che avranno nella condivisione del potere statale. I colloqui tra l’Emirato islamico dell’Afghanistan, cioè i talebani, e il governo afghano inizieranno il prossimo 10 marzo.
A Washington prevale la prudenza. Donald Trump usa toni insolitamente moderati: «Se i Talebani e il governo dell’Afghanistan terranno fede agli impegni, si aprirà un efficace percorso verso la fine della guerra e potremo portare le nostre truppe a casa. Questi impegni rappresentano un passo importante verso una pace duratura in nuovo Afghanistan, liberato da Al Qaeda, dall’Isis e da altri gruppi terroristi che vorrebbero farci del male».
Anzitutto c’è molta incertezza su cosa potrebbe uscire dai colloqui tra talebani e il governo di Kabul. Finora i talebani si sono mostrati molto intransigenti nei confronti del governo, e una delle ipotesi che si fa per il futuro è che il vero obiettivo del gruppo sia quello di prendere il controllo di tutto il paese, sfruttando il ritiro delle truppe statunitensi. C’è incertezza anche sulla possibilità che in Afghanistan vengano fermate effettivamente le violenze: durante i colloqui di pace, nonostante le ripetute richieste americane, i talebani non avevano mai interrotto completamente gli attacchi forse per mettere pressione ai negoziatori, ma probabilmente anche per la difficoltà dei capi di controllare tutti i miliziani. Lo scorso settembre proprio un attentato terroristico compiuto dai talebani aveva convinto il presidente statunitense Donald Trump a cancellare all’ultimo minuto un importante incontro a Camp David con i rappresentanti dei talebani e il presidente afghano Ashraf Ghani, facendo saltare i negoziati a un passo dall’accordo.