Nonostante i bonus da 600 euro e la generalizzazione degli ammortizzatori sociali, c’è una fetta del mercato del lavoro che non è intercettata dal Decreto “Cura Italia”. Si tratta di 3-4 milioni di persone se si include tutto il lavoro “nero”, che scendono a circa 2 se si considera chi lavora saltuariamente. A questa platea guarda il reddito d’emergenza allo studio del governo.
Il tema del reddito di emergenza è stato lanciato nei giorni scorsi dalla viceministra dell’Economia, Laura Castelli (M5s). In pratica lo strumento dovrebbe essere chiamato a fornire un sussidio, probabilmente temporaneo, a tutte quelle persone, senza più reddito, rimaste senza lavoro e non coperte dagli attuali bonus. E riproposto oggi da Beppe Grillo. Secondo il garante del M5s per superare la crisi sanitaria ed economica dovuta al coronavirus, è arrivato il momento di «stravolgere lo status quo» e promuovere il reddito di base universale.
L’idea lanciata da Beppe Grillo non è una novità, ma piuttosto uno dei suoi cavalli di battaglia di sempre. Il reddito di base universale, proposto dal garante M5s, funziona per diritto di nascita ed è destinato a tutti, dai più poveri ai più ricchi. «La via d’uscita da questa crisi – ha scritto sul suo blog – non può essere come quella del 2008, quando si è preferito salvare le banche a discapito del popolo. È arrivato il momento di mettere l’uomo al centro e non più il mercato del lavoro». E precisa: «C’è già chi nel mondo si sta attivando». E cita alcuni esempi da Alexandra Ocasio-Cortez negli Usa al Regno Unito fino a India e Nuova Zelanda.
Dunque, se il governo non si è ancora spinto fino a pensare una misura simile, la maggioranza composta da Pd, M5s e Leu è sempre più concorde nel dire che serve un “reddito di emergenza” o “reddito di quarantena” che possa aiutare le famiglie in difficoltà in queste settimane: quindi sì all’estensione del reddito di cittadinanza, come anticipato dal ministro per il Sud Giuseppe Provenzano, e a nuovi strumenti di aiuto.
«Stiamo lavorando a un reddito di emergenza», ha annunciato Luigi Di Maio. «Grazie al reddito di cittadinanza 2,5 milioni di persone possono dare da mangiare ai loro figli e ai loro cari». «Non si tratta di assistenzialismo – ha aggiunto – ma di misure che servono a disinnescare una potenziale bomba sociale». D’accordo sul punto anche il viceministro dell’Economia Pd Antonio Misiani: «In una condizione di emergenza nazionale – ha detto a Radio Capital -in cui c’è un’epidemia e chiediamo alle famiglie di rimanere a casa, dobbiamo prevedere un sostegno il più universalistico possibile. Dobbiamo dare sicurezza e sostegno a tutti gli italiani che ne hanno bisogno. Il reddito di emergenza ha l’obiettivo di costruire una rete di sostegno universalistica in relazione alle situazioni di bisogno, per chi non ha niente». Una linea condivisa anche dalla componente più a sinistra della maggioranza. Secondo il senatore di Leu Pietro Grasso «bisogna creare una sorta di reddito universale nei prossimi mesi, con minori limiti e minori complicazioni, dando la possibilità di sopravvivere, così come parlare di una fiscalità più collettiva. Se è vero che il virus non conosce censo, è vero fino a un certo punto, perché poi alla fine non si può scegliere tra morire di coronavirus e morire di fame quindi bisogna dare a tutti il più possibile».
A questo reddito guarderebbero in primis i lavoratori a termine non rinnovati in questa fase. Ma anche colf e badanti. Non solo però. Ci rientrerebbero anche le variegate forme di rapporti di impiego saltuari o stagionali. E il tema dei requisiti diventa decisivo, ed è oggetto di dibattito tra le forze politiche in vista del dl di aprile. Una prima ipotesi è stata avanzata dai Cinquestelle, che hanno parlato della possibilità di allargare le maglie del reddito di cittadinanza. Un’altra ipotesi allo studio è rafforzare il fondo creato per l’emergenza coronavirus che oggi garantisce i 600 euro a lavoratori autonomi e professionisti. Anche qui tratterebbe di ridefinirne i criteri di accesso al fondo per ricomprendervi anche le altre tipologie di lavoratori attualmente escluse. La declinazione finale dell’intervento dipenderà ovviamente da quanto il governo riuscirà a mettere effettivamente sul piatto.