L’emergenza coronavirus preoccupa soprattutto in Lombardia, dove si pensa di portare la quarantena a 28 giorni. Una misura destinata ad avere un grande impatto per la ripartenza della regione. «Sta uscendo una linea guida che prevede che la quarantena duri fino al 3 maggio. L’idea, poi, è di fissarlo a 28 giorni in via definitiva», ha annunciato l’assessore al Welfare della Lombardia, Giulio Gallera.
La decisione riguarda chi già è in quarantena perché positivo e chi lo diventerà a seguito di ulteriori controlli. Per i primi il tempo di attesa prima di tornare al lavoro sarà allungato fino al 3 maggio (una data chiave, visto che il giorno dopo, secondo le intenzioni del governo, avrà inizio la “fase 2”); per i secondi, i certificati che garantiranno l’assenza giustificata dal lavoro passeranno da due a 4 settimane.
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Una decisione non facile da prendere, questa, che va di pari passo con i tanti dubbi sul coronavirus. Tra i misteri che accompagnano questa infezione vi è quello del tempo in cui si resta “positivi” e, di conseguenza, contagiosi. Una domanda che spiazza anche gli esperti. Come ha spiegato al Corriere della Sera Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani e della Federazione Italiana Società Scientifiche di Laboratorio, al momento si sa che «lo sviluppo di una risposta anticorpale richiede in genere dai 7 ai 10 giorni a partire dal momento dell’infezione». Ma per ora non esistono test in grado di capire se gli anticorpi sviluppati sono sufficienti a «neutralizzare» il virus e per quanto.
In base alle linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità, un soggetto positivo al Covid-19, che sia asintomatico o guarito, deve essere sottoposto al controllo con un tampone, per verificarne la negativizzazione non prima di 7 giorni. Se il paziente risulta ancora positivo, allora va testato di nuovo dopo altri 7 giorni. Quanto il test sarà negativo, si ripeterà il tampone a distanza di 24 ore. Se questo esame conferma la negativizzazione, allora il soggetto può essere dichiarato guarito.
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Ma vi è un altro problema legato al coronavirus che non lascia tranquilli esperti e scienziati: ci sono soggetti ancora positivi dopo i 14 giorni di quarantena. Una di queste, come ha ricordato Massimo Galli, direttore del dipartimento di scienze biomediche e cliniche dell’Ospedale Sacco di Milano, è l’inviato de Le Iene Alessandro Politi. Quest’ultimo, infatti, è ancora positivo 30 giorni dopo il primo tampone positivo. «E il suo – ha spiegato Galli – non è un caso isolato. Ne ho riscontrati diversi anche personalmente. Dobbiamo iniziare a porci una quantità di interrogativi. Effettuare milioni di tamponi è impossibile ma bisogna trovare delle contromisure e delle soluzioni perché pazienti come Politi, completamente asintomatiche o poco sintomatiche ma pienamente positive dopo molti giorni, sono un problema. Adesso che dobbiamo iniziare a pensare a una ripartenza bisogna assolutamente evitare condizioni e situazioni che ci possano mettere nuovamente in grave crisi».
Le certezze sul coronavirus sono davvero poche. Bisogna capire come agire per evitare il peggio. In base a risultati di una ricerca pubblicata sugli Annals of Internal Medicine è emerso che il periodo di incubazione in media è 5,1 giorni. Il 97,5% di coloro che svilupperanno sintomi lo farà entro 11,5 giorni dall’infezione (la forbice va da 8,2 a 16,6 giorni). Secondo alcune ipotesi, 101 pazienti su 10mila svilupperanno sintomi dopo 14 giorni di monitoraggio attivo. È evidente che l’attenzione deve restare alta. Se necessario anche con l’allungamento della quarantena perché basta un singolo caso per ripiombare nell’incubo.