Mentre il governo ragiona sull’ipotesi di far ripartire alcuni settori dell’industria (automotive, componentistica e moda) prima della scadenza del lockdown prevista il 3 maggio, la Lombardia preme per poter ripartire già dal 4 maggio, seguendo la regola delle “4D” (distanziamento, dispositivi, digitalizzazione e diagnosi). Nel piano per una “nuova normalità” delineato dalla Regione Lombardia si parla di obbligo di mascherine per tutti e test sierologici, di riapertura in orario scaglionato di uffici e aziende e, successivamente, scuole e università. Ancora una volta emerge la difficoltà di trovare una linea unitaria con il governo centrale in una fase, quella della fase due della gestione dell’emergenza sanitaria, che si preannuncia delicata.
«La Lombardia guarda avanti e progetta la “nuova normalità” all’insegna della prevenzione, della cura e della programmazione. Dal 4 maggio, la Regione – si legge in una nota – chiederà al Governo di dare il via libera alle attività produttive nel rispetto delle “Quattro D”: Distanza (un metro di sicurezza tra le persone), Dispositivi (ovvero obbligo di mascherina per tutti), Digitalizzazione (obbligo di smart working per le attività che lo possono prevedere) e Diagnosi (dal 21 aprile inizieranno i test sierologici grazie agli studi in collaborazione con il San Matteo di Pavia)». Salvo poi fare parziale retromarcia con il presidente Attilio Fontana che ha dichiarato di essere stato «mal interpretato». «Non ci permettiamo di parlare di attività produttive, che sono competenza del governo centrale, sottratta a ogni nostra possibile valutazione. Noi parliamo di graduale ripresa delle attività ordinarie che sarà concordata con il governo».
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L’iniziativa della Regione Lombardia arriva sotto il peso di una recessione economica senza precedenti recenti: un miliardo 857 milioni di spesa mancante nel solo marzo, annunciava ieri la Confcommercio di Milano, Monza e Lodi. È il 31,1% della spesa mensile delle famiglie. Il governo sta comunque valutando le riaperture anticipate, magari già alla prossima settimana, solo di alcune filiere aggiornando l’elenco dei codici Ateco delle attività consentite.
Annunci che hanno sollevato più di una perplessità a Palazzo Chigi: «sorpresa» per il cambio di linea, scetticismo per una proposta «intempestiva» e il sospetto che l’annuncio serva al Pirellone per distogliere l’attenzione dal caso giudiziario delle morti nelle Rsa. «Fontana fa parte della cabina di regia nazionale se vuole fare delle proposte, quello è il luogo istituzionale per farle», ha detto il ministro per gli Affari Regionali, Francesco Boccia. Secondo il viceministro al Mise e deputato M5S lombardo Stefano Buffagni, «la richiesta della Lombardia è un errore. Da sempre Fontana ha sostenuto una linea rigorosa e fortemente restrittiva e oggi, sorprendentemente, decide – non si comprende sulla base di quali dati – di aprire. Andare in ordine sparso – ha concluso Buffagni – rischia di alimentare confusione nei cittadini e nelle imprese che invece esigono chiarezza. Sostituirei le D della Regione con 4 C: calma, coerenza, coscienza e criterio».
Ma la prudenza è estrema anche in altri ambienti. «La Lombardia è il pilota di quanto accadrà nelle altre regioni – sottolinea Ranieri Guerra, direttore generale aggiunto dell’Oms – e dovrà essere estremamente cauta e valutare con estrema attenzione la quantificazione del rischio per renderlo pari a zero». Sull’altro versante ci sono gli imprenditori che fremono. Soprattutto i medi e piccoli. «Pur di evitare la morte economica – assicura Marco Accornero di Unione Artigiani – siamo disposti a fare i salti mortali, aprendo anche di notte. La metà delle 90 mila imprese lombarde non ha dipendenti, è pronta a ricominciare. Quanto agli altri, come i parrucchieri, ci son tutti gli accorgimenti per lavorare in sicurezza».