Mentre l’Occidente già si prepara a ripartire, il virus si affaccia anche nel sud del mondo. Quasi 30mila casi, più di 1.300 morti: sono i numeri dell’emergenza coronavirus che arrivano dall’Africa. O almeno quelli ufficiali. Sembrerebbe poca cosa rispetto alla diffusione della pandemia nel resto del mondo. Tuttavia la situazione è preoccupante. Qui mancano terapie intensive, posti letto e ventilatori polmonari. Anche l’Organizzazione mondiale della Sanità lancia l’allarme: «I casi confermati di coronavirus in Africa sono aumentati del 51% e il numero delle morti accertate del 60%, ma in mancanza di kit per i test è verosimile che i numeri siano più alti». Per l’Uneca, la Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa, se non verranno adottati strumenti utili a mettere fine alla diffusione del coronavirus, nel continente nero rischiano di morire tra le 300mila e i 3,3 milioni di persone.
LEGGI ANCHE: Coronavirus, la lezione della Grecia all’Ue: pochi morti e contagi
Tra gli aspetti più critici dell’emergenza sanitaria, secondo Matshidiso Moeti, direttrice regionale dell’Oms per l’Africa, c’è la carenza di strutture ospedaliere in grado di trattare i casi più gravi di Covid-19. L’Oms ha stimato che in 43 paesi i posti letto in terapia intensiva sono circa 5mila, circa 5 per ogni milione di abitanti, una percentuale bassissima se confrontata con la media degli altri paesi del mondo.
La rivista Jeune Afrique ha tentato di calcolare i numeri delle terapie intensive e dei respiratori: c’è una grande disparità fra i pochi paesi che dispongono di un numero decente di presidi e i molti che invece non hanno quasi nulla. I letti di terapia intensiva vanno dai 3mila del Marocco, 2.500 dell’Algeria e mille del Sudafrica ai 15 di Burkina Faso e Somalia, con diversi altri Paesi che ne hanno sotto i 100. Ancora peggiore la situazione dei respiratori: 3 per tutta la Repubblica Centrafricana, 4 in Togo (ma ne sono stati ordinati 250), 5 in Niger, 10 in Congo Brazzaville, 11 in Burkina Faso, fra i 15 e i 20 in Camerun. In tutta la Sierra Leone, secondo il Financial Times, ce ne sarebbe uno solo. Qualche decina in altri Paesi, per poi trovarne 2.500 in Algeria, 3mila in Marocco e ben 6mila in Sudafrica, 4mila dei quali in mano però nella sanità privata.
Oltre all’emergenza dovuta alla diffusione del coronavirus, infatti, in Africa bisogna tenere conto della povertà della popolazione, della diffusione di numerose malattie e dei problemi di malnutrizione, della generale instabilità economica e di altre questioni che possono facilitare il contagio, come il sovraffollamento di alcune aree e la scarsa fiducia nei confronti delle istituzioni.
Le misure intraprese dai vari governi sono quasi ovunque molto rigide e puntano sulla prevenzione. Il lockdown, unica prevenzione efficace, è stato dichiarato quasi ovunque, con la consapevolezza però che misure come quelle cinesi o europee non sono proponibili in un continente dove la maggior parte dell’economia è informale, i lavori alla giornata, stipendi e contratti inesistenti. Impensabile imporre di “restare a casa” nelle baraccopoli, dove la “casa” è solo un luogo coperto in cui dormire. Nei quartieri più affollati e nelle baraccopoli, molte strutture come i servizi igienici sono condivise, e nelle case vivono famiglie allargate molto numerose. Inoltre in Africa ci sono circa 6 milioni di profughi e richiedenti asilo che vivono in campi provvisori dove il rischio di contagio, in caso di diffusione del virus, sarebbe molto alto.
LEGGI ANCHE: L’invasione delle locuste che sta devastando l’Africa
Come nel resto del mondo, anche in Africa la diffusione dell’epidemia da coronavirus potrebbe avere un grosso impatto sull’economia. La Banca Mondiale ha stimato che per le conseguenze di queste misure l’Africa subsahariana entrerà in recessione nel 2020 per la prima volta da 25 anni e che il coronavirus farà perdere alla regione dai 37 ai 79 miliardi di dollari. In più, in alcuni paesi l’emergenza legata al coronavirus si è aggiunta a un altro problema degli ultimi mesi che già aveva danneggiato l’economia: l’invasione delle locuste, che paesi come Kenya, Somalia e Uganda hanno dovuto affrontare dall’inizio dell’anno. Le conseguenze dei danni economici saranno probabilmente un difficile accesso a cibo e acqua, già critico in molte comunità, e la perdita di posti di lavoro. Le persone più colpite saranno quelle che vivono in condizioni di povertà ed emarginazione.