«Come posso spiegare a mia moglie che, mentre guardo fuori dalla finestra, sto lavorando?», si chiedeva Joseph Conrad al principio del secolo scorso. Mentre oggi, ai tempi del coronavirus, guardando fuori dalla finestra veniamo colti da un senso di oppressione vedendo le strade deserte e le città senza vita. Ma quanto il coronavirus ha cambiato il volto delle nostre città? Come gli spazi urbani rinasceranno dopo la pandemia? E quali sono le prospettive per il futuro?
Lo abbiamo chiesto all’architetto Cesare Capitti, esperto di restauro e recupero di centri storici è stato Capo Servizio del Dipartimento Urbanistica della Regione Siciliana. Attualmente svolge attività di cultore del Settore ICAR 21 Urbanistica, presso il Dipartimento di Progetto e Costruzione Edile della Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Palermo. Autore dei volumi “Governo del territorio e dottrina sociale della chiesa in architettura, urbanistica, ambiente e paesaggio” (Qanat 2013) e “La città della speranza” (Qanat 2016), adesso impegnato nella pubblicazione di un nuovo libro “Città e periferia. Metamorfosi architettonica e urbanistica ai tempi del coronavirus” per Maurfix Editore.
Come il coronanavirus ha cambiato il volto delle nostre città?
«Questa particolare situazione di emergenza ha costretto tutti a modificare gli stili di vita con negative ricadute collaterali sulla salute, quali ad esempio il rischio di sovrappeso, problemi osteoarticolari, disturbi del sonno, comportamenti aggressivi, irritabilità e difficoltà di concentrazione. La condizione prolungata di isolamento sociale, per evitare i contagi dal virus, registra nel nostro Paese in modo crescente e preoccupante una condizione di povertà degli abitanti a causa della di chiusura di quasi tutti i sistemi produttivi e la conseguente perdita di lavoro diretto ed indotto. Nelle grandi città in modo benevolo c’è stata una drastica riduzione dell’inquinamento in quanto gli spostamenti in auto e le attività produttive si sono fermati. Le condizioni meteo particolarmente favorevoli hanno prodotto un abbattimento impressionante delle nocivissime polveri sottili prodotte dall’attività umana e tanto pericolose per la salute. Certamente tali condizioni di salubrità dell’ambiente cittadino, andrebbero garantite in situazioni ordinarie tenuto conto che la città è innanzitutto la casa degli abitanti. Proprio questo “essere casa di tutti e per tutti” è condizione irrinunciabile per la sopravvivenza e la rivitalizzazione e rinascita delle città».
Come possono rinascere le città dopo la pandemia?
«Il coronavirus ha svelato tutte le fragilità del mondo globalizzato, ha piegato le grandi potenze della terra, ha smascherato le false promesse della grande corsa dei cittadini al capitalismo che rischia di sfociare talvolta nell’egoismo. Le città esistono in quanto comunità di una umanità, che vive in armonia col tempo e nel tempo e l’uomo si è rivelato all’uomo e non a caso ha collocato la realizzazione della pienezza dell’umanità e della storia in una città: la Gerusalemme celeste, per mettere in luce la dimensione sociale, comunitaria senza la quale non sussisterebbe la stessa città. L’umanità redenta dunque, principio della vita nuova, consentirà mediante la sua presenza la sopravvivenza delle metropoli, delle città di piccole e medie dimensioni, che in assenza di umanità sono destinate a sparire definitivamente, così come in parte si è verificato per i piccoli centri ubicati nelle aree interne, abbandonati dagli abitanti (paesi fantasmi) per varie e giustificati motivi».
Saranno dunque le città, intese come comunità, a salvare se stesse?
«Sì, l’umanità salverà le città. Prendiamo per esempio la grande metropoli di Manhattan, precipiterebbe in pochi mesi se non ci fosse la presenza della comunità umana, considerato che la colossale città è stata costruita su una fitta reti di vie d’acqua naturali imprigionate sottoterra e convogliate attraverso un reticolo di tubature che necessitano di costante sorveglianza e di una continua manutenzione. I famosi ponti di acciaio di Brooklyn e di Bayonne, nonostante siano stati costruiti con materiali resistenti e gli ingegneri per prudenza abbiano ridondato il dimensionamento delle sezioni delle corde di acciaio, dei bulloni, dei tiranti senza una costante manutenzione essi crollerebbero nel giro di pochi anni. Le città sono luoghi di scambio, di flusso continuo di merci, di parole, di desideri e di ricordi. Ogni città si fa scrigno in cui si custodisce l’identità di una umanità sempre più bisognosa di salvare il proprio spazio civico, storico e culturale mediante processi di ricostruzione e di rigenerazione urbana, che ne consentono la sua stessa rinascita».
Francois Burkhardt, architetto, storico e critico di rilevanza internazionale, manifesta chiaramente le sue idee sull’architettura contemporanea e dichiara “Basta con le archistar, si torni a costruire per l’uomo”. Condivide questo pensiero?
«Burkhardt pone in rilievo quanto la disciplina architettonica abbia smarrito la sua primaria funzione sociale per dare spazio prevalentemente ad una libertà compositiva per assolvere funzioni a sé stanti, autoreferenziali e non per chi utilizzerà gli edifici. E in questo periodo più che mai la mia speranza è che città si materializzi concretamente a favore dell’umanità per convertire le città storiche sofferenti in città vivibili e a misura d’uomo. La ricerca esasperata di nuove forme autoreferenziali in architettura e in urbanistica e la continua metamorfosi delle stesse forme, la crescita economica che non pone al centro la persona umana in tutte le sue dimensioni e che fa a meno della necessità di ricostruire l’etica del bene comune in campo culturale, economico, politico, sociale, ha messo in crisi l’organizzazione stessa del tessuto sociale e distrutto irreversibilmente le differenze, le città, l’identità dei singoli e delle famiglie. Bellezza, armonia e decoro devono ritornale centrali in tutte le opere di architettura e di urbanistica per abbattere il relativismo imperante e restituire all’uomo una città bella, armoniosa e decorosa».
Quali prospettive per il futuro delle città?
«Il futuro è legato al recupero della cultura, e la cultura, insieme alla bellezza, salverà il mondo. Dunque bisognerà riannodare il rapporto tra le comunità degli abitanti ed il contesto ambientale dentro cui vive l’uomo, al quale ancora resta un minimo di consapevolezza per comprendere la propria storia e la propria identità per un’inversione di tendenza al degrado delle città. La cultura, infatti, rivela l’uomo all’uomo ed è generatrice di bene comune e di benessere. La cultura cagiona competitività al Paese e attrae investimenti, determina efficienza, sicurezza e vivibilità. Allo stesso tempo dobbiamo prendere atto della necessità di valorizzare i beni culturali e paesaggistici, tenuto conto che essi costituiscono la memoria, valore identitario, che hanno un elevato potenziale sulla qualità della vita e del benessere delle persone, in quanto risorsa economica. Cultura, bellezza, armonia e decoro incidono sensibilmente sul benessere della persona umana. La città deve essere generatrice di bellezza, di armonia e decoro, con la speranza attendibile che si avviino nuove strategie per lo sviluppo economico e sostenibile e che le amministrazioni locali e regionale si sentano sollecitate a porre in essere, senza ulteriori indugi, tutte le iniziative per liberare le risorse economiche per la rigenerazione urbana».