Ogni libro ha il suo tempo. E se si vuole apprezzarlo adeguatamente bisogna pazientare, aspettando che arrivi il momento giusto per leggerlo. Ho sottomano un’edizione del “Paradiso perduto” di John Milton, edita da Giunti-Bompiani, tradotta da Roberto Piumini e preceduta da un’introduzione chiara e accattivante di Fabio Cicero.
Il poema si struttura in dodici libri, e racconta le vicende bibliche che vanno dalla ribellione di Lucifero a Dio fino alla cacciata dei nostri progenitori dal giardino di Eden. Gli episodi sono animati da un succedersi di immagini e situazioni vigorose, delicate ed eleganti. Tutta la prima parte del poema è dominata dal personaggio di Lucifero, che prima di diventare nemico acerrimo di Dio era il più bello degli angeli di Dio, e che conserva anche dopo nel suo aspetto qualcosa della forma originaria (p. 610):
[…] Sopra tutti
per figura e per gesto, come torre
Satana stava, e nell’aspetto aveva
Qualcosa della luce originaria […]
Milton immagina un Eden caratterizzato da prescrizioni e in cui manca il senso dell’uguaglianza. In più parti del racconto proietta le problematiche politiche del suo tempo, e il suo amore per la libertà a volte entra in conflitto con l’ortodossia cristiana, che considera la caduta dell’uomo come l’esito diretto della violazione da parte di Eva dell’ordine stabilito da Dio. Adamo ed Eva non perdono solo il paradiso dopo aver mangiato la mela, ma anche la propria condizione di perfezione e conoscono così la sofferenza della caduta e l’oscurità dell’ombra.
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Il giardino di Eden da quel momento per loro diventa un luogo ideale, che potrà esistere solo in una zona dimenticata della memoria; si farà ricordo e mito di qualcosa che una volta c’era e che non c’è più, di un mondo a cui hanno rinunciato per avventurarsi alla scoperta di ciò che c’era oltre (p.943):
Voltandosi, essi videro l’intero
lato del Paradiso posto a oriente,
che solo poco prima era la loro
sede felice, coperto dal fuoco
di quella spada, e la porta affollata
di terribili volti e armi fiammanti.
Dai loro occhi caddero alcune
lacrime naturali, però subito
se le asciugarono: il mondo stava
tutto davanti a loro, in cui scegliere
dove fermarsi, con la Provvidenza
per guida, e mano nella mano, lenti
e incerti nel passo cominciarono,
nell’Eden, il cammino solitario.
Le lacrime dei nostri progenitori, che si voltano a guardare la porta per sempre chiusa del paradiso, chiudono il poema ma schiudono anche nella mente di chi legge l’affascinante viaggio che da allora attende l’uomo.
Per Milton il cammino dell’umanità, anche se è guidato da Dio, resta incerto e solitario.
Lo è stato per Adamo ed Eva e lo sarà per gli uomini di ogni tempo, che sono chiamati a portare scritta nei loro cuori la memoria di una felicità perduta, ma anche l’anelito alla libertà e alla scoperta della bellezza della vita e del mondo.