Sono trascorsi 23 anni dal ritorno di Hong Kong sotto la sovranità cinese. Ed è l’anniversario più amaro tra tutti quelli della sua recente storia. Il Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo, massimo organo legislativo della Repubblica popolare cinese, ha ufficialmente dato il via libera alla legge sulla sicurezza nazionale. Un provvedimento, i cui contenuti nel dettaglio non sono ancora stati diffusi, che mina le libertà di cui gode Hong Kong e l’indipendenza del suo sistema giudiziario.
Poco più di un anno fa, Pechino aveva provato a introdurre nell’ex colonia un progetto di legge che prevedeva l’estradizione in Cina per una vasta serie di reati. Il tentativo diede il via alle manifestazione oceaniche di protesta, che hanno visto scendere in strada milioni di persone per impedirne, con successo, l’entrata in vigore. Ma adesso la Cina è tornata all’attacco e hanno inferto il colpo di grazia alla città.
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La nuova legge infatti, detta di “sicurezza nazionale”, è enormemente più repressiva e liberticida di quella che si era cercato di imporre un anno fa. Grazie al nuovo ordinamento la nuova legge entrerà in vigore senza passare dal Parlamento di Hong Kong. La sicurezza nell’ex colonia verrà, per la prima volta dopo 23 anni, gestita direttamente e ufficialmente da Pechino. E per i reati come «secessione, sovversione contro il governo centrale cinese, terrorismo e collusione con le forze straniere» si rischia fino all’ergastolo.
Secondo Pechino si tratta di un passo necessario per riportare l’ordine in città, dopo le proteste contro il governo e contro la Cina che l’hanno infiammata per mesi. Secondo il campo democratico di Hong Kong e molti osservatori internazionali si tratta invece di un colpo di mano che rischia di cancellare l’autonomia garantita alla città dopo il suo ritorno alla Cina.
«Segna la fine di Hong Kong che il mondo conosceva prima, che si trasformerà in uno stato di polizia», ha scritto su Twitter l’attivista Joshua Wong, che insieme a figure di primo piano come Nathan Law, Jeffrey Ngo e Agnes Chow, ha dato le dimissioni da Demosisto, partito nel mirino per le campagne pro-suffragio universale e la richiesta di sanzioni contro gli abusi sui diritti della Cina. Gli Stati Uniti intanto hanno già iniziato il processo di congelamento dello speciale status vantato dall’ex colonia britannica nei rapporti bilaterali ma la governatrice Carrie Lam si è detta pronta a prendere le «necessarie contromisure nell’ipotesi di sanzioni da parte degli Usa».