L’indagine per ricostruire la circolazione del coronavirus è destinata al fallimento perché i test stanno per scadere. Tra i segnali che dimostrano come i cittadini abbiano abbassato la guardia di fronte al Covid sembra esserci anche la scarsa adesione alla ricerca basata sui test sierologici. Su 150mila persone selezionate dall’Istat per l’indagine di sieroprevalenza organizzata sul territorio nazionale dal ministero della Salute, in collaborazione con l’Istituto di statistica e Croce Rossa Italiana, soltanto 70mila italiani hanno risposto alla chiamata per sottoporsi all’esame. E adesso restano solo 10 giorni per evitare che i reagenti scadano.
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Lo studio che doveva durare solo due settimane, e che invece si è protratto fino a oltre un mese e mezzo, sta per finire, dunque, a causa della data di scadenza impressa sui reagenti, ma all’appello manca ancora oltre la metà del campione scelto in maniera random dall’Istat. Finora, infatti, alle chiamate della Cri, gestite interamente da volontari, hanno risposto in maniera positiva, prendendo quindi appuntamento per effettuare il test sierologico che permette di scoprire se si è entrati o meno a contatto con il coronavirus, poco meno di 70mila persone. In pratica meno della metà del numero annunciato dagli spot del ministero della Salute di 150mila.
L’obiettivo era raggiungere l’80% del campione teorico. Anche per questo l’Istat aveva aggiunto altre 40mila persone nella “lista” di quelle da chiamare. In totale quindi un’indagine su un campione di partenza più alto di quello teorico, pari a 190mila soggetti da raggiungere con una telefonata, con la speranza di avere 150mila risposte di cui almeno 120mila positive, cioè almeno l’80% disposto a sottoporsi al test. Ma difficilmente si raggiungerà quanto prefissato. Molti cittadini non hanno risposto alle chiamate, arrivate in alcune regioni addirittura a 15 volte per ogni numero, altri invece rispondono seccamente, declinando l’invito a partecipare. Quando mancano ancora circa 9mila i cittadini ancora da contattare.
Il rischio, arrivati a questo punto, è anche quello di non riuscire a testare neanche tutto il “campione anticipatorio“, utile per “ritorni successivi di studio”. Di certo nei pochi giorni che mancano non si raggiungeranno mai i 150mila test effettuati. L’unica chance sarebbe far proseguire l’indagine, chiedendo una nuova fornitura di reagenti, ma l’ipotesi sembra improbabile. Anche perché l’indagine epidemiologica non è gratis.
Secondo quanto riportato sul decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10 maggio dal titolo “Misure urgenti in materia di studi epidemiologici e statistiche sul SARS-COV-2” per realizzarla sono stati spesi oltre 4 milioni di euro, da attingere alle risorse assegnate al Commissario straordinario per l’emergenza coronavirus, Domenico Arcuri, senza contare i fondi messi in campo dall’Istat. Di questi 220mila euro sono stati spesi per la realizzazione della piattaforma tecnologica e 700mila per la conservazione dei campioni raccolti presso la banca biologica, istituita all’Istituto Spallanzani di Roma. Per il lavoro svolto dalla Cri, invece, prevista una spesa di 1,7 milioni di euro, mentre per l’acquisto dei dispositivi idonei alla somministrazione del test sierologico, cioè kit comprensivi di reagenti, il fondo a disposizione era di 1,5 milioni di euro.