Da tempo si discute se la stagione estiva avrebbe fermato il coronavirus. Adesso la conferma arriva da uno studio di un team di ricercatori italiani. I raggi ultravioletti pare che riescano ad inattivare la carica virale. La scoperta è stata fatta da medici dell’Università degli Studi di Milano che lavorano nell’ospedale Luigi Sacco, il centro di riferimento lombardo per l’epidemia. Alla ricerca hanno collaborato anche l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e l’Istituto nazionale dei tumori. A guidare il team c’è Mario Clerici, professore ordinario di Immunologia all’Università di Milano e direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi.
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L’esperimento è stato fatto posizionando goccioline di liquido contenente Sars-Cov-2 sotto alcune lampade che trasmettevano raggi Uv di tipo C, quelli che non penetrano l’atmosfera. Il liquido è stato usato come fac-simile di quello che in genere si emette parlando o starnutendo. A spiegarlo al Corriere della Sera è lo stesso Mario Clerici: «Abbiamo valutato una dose bassa di virus (quella che può esserci in una stanza dove è presente un positivo), una dose cento volte più alta (che si può trovare in un soggetto con forma grave di Covid-19) e una quantità mille volte più alta, impossibile da trovare in un essere umano o in una qualunque situazione reale. In tutti tre i casi la carica virale è stata inattivata in pochi secondi al 99,9% da una piccola quantità di raggi UvC».
Dopo il primo tentativo andato a buon fine, lo stesso procedimento è stato ripetuto utilizzando i raggi UvA e UvB che, invece, arrivano sulla Terra. E il risultati sono molto simili. «Partendo da questi dati ci siamo poi chiesti se ci fosse una correlazione tra irraggiamento solare e epidemiologia di Covid-19. Minore è la quantità di UvA e UvB, maggiore è il numero di infezioni. Questo potrebbe spiegarci perché in Italia, ora che è estate, abbiamo pochi casi e con pochi sintomi, mentre alcuni Paesi nell’altro emisfero – come quelli del Sud America, in cui è inverno – stanno affrontando il picco».
Secondo Clerici, quindi, quest’estate potremo passarla senza la necessità di dover indossare la mascherina a ogni costo, sulla spiaggia. Questo perché «le goccioline che possono essere emesse da un eventuale soggetto positivo vengono colpite dai raggi solari e la carica virale è disattivata in pochi secondi. Il discorso potrebbe valere anche per superfici di ogni genere». Sarebbe quindi possibile utilizzare lampade a raggi Uv per disinfettare i luoghi chiusi. La quantità di raggi emanati dai dispositivi peraltro non sarebbe dannosa per gli esseri umani perché parliamo di quantità minime e tempi brevissimi. Potrebbero essere utilizzate nei cinema, negozi, uffici e anche nelle scuole. «Anche se fosse necessario tenere accese le lampade per diverse ore in presenza di persone, non si verificherebbe alcun rischio per la salute», dichiara Clerici.
Anche un rapporto dell’Istituto superiore di sanità datato al 15 maggio parla dell’efficacia delle radiazioni Uv contro diversi virus. «La radiazione UvC ha la capacità di modificare il Dna o l’Rna dei microorganismi, impedendo loro di riprodursi e quindi di essere dannosi — si legge nel documento “Raccomandazioni ad interim sulla sanificazione di strutture non sanitarie nell’attuale emergenza Covid-19: superfici, ambienti interni e abbigliamento” — Studi in vitro hanno dimostrato chiaramente che la luce UvC è in grado di inattivare il 99,99% del virus dell’influenza in aerosol. L’applicazione a goccioline (droplet) contenenti Mers ha comportato livelli non rilevabili del virus dopo soli 5 minuti di esposizione. Se però le superfici sono esposte a una radiazione Uv non sufficientemente intensa, ciò potrebbe comportare una disinfezione inadeguata e conseguenti problemi di sicurezza. La radiazione UvC può essere utilizzata in sicurezza per disinfettare le superfici o gli oggetti in un ambiente chiuso. Basta un contenitore di plexiglas o vetro per schermare efficacemente la radiazione e proteggere le persone. Viceversa, i sistemi tradizionali con lampade UvC installate a parete o a soffitto, che generano luce in assenza di protezione, rappresentano un potenziale pericolo: la radiazione nell’intervallo 180 nm-280 nm è in grado di produrre gravi danni a occhi e cute ed è un cancerogeno certo per l’uomo. Studi recenti hanno evidenziato che esistono specifiche lunghezze d’onda in grado di inattivare efficacemente patogeni batterici e virali senza provocare citotossicità o mutagenicità alle cellule umane».