In Europa il coronavirus è tutt’altro che spento. E i Paesi che si considerano più virtuosi, come la Norvegia, la Finlandia, la Grecia, il Portogallo e, per adesso, anche l’Italia, temono i contagi d’importazione. Non soltanto da Spagna e Francia. La preoccupazione aumenta anche per il nord, Belgio e Lussemburgo; e soprattutto ad est sull’altra sponda dell’Adriatico, dopo che il virus è entrato in Italia dalla Croazia e dall’Albania. Il Robert Koch-Institut, l’organizzazione responsabile per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive di Berlino, ha stilato un elenco di Paesi europei che possono essere considerati a rischio considerando l’incidenza di oltre 50 infetti ogni 100mila abitanti negli ultimi sette giorni.
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A preoccupare in Europa è soprattutto la Spagna, e in particolare la regione settentrionale dell’Aragona: qui si sono avuti oltre 300 casi ogni 100mila abitanti. Il valore è aumentato di dieci volte rispetto a 20 giorni fa. Situazione allarmante anche in Ucraina, che ha registrato un record giornaliero di contagi, il dato più alto dall’inizio della pandemia nel Paese: si tratta di 1.453 nuovi casi in un giorno confermando il trend in aumento.
Sorvegliato speciale anche il Belgio, soprattutto la città e la provincia di Anversa, che il governo tedesco ha persino aggiunto all’elenco dei Paesi al ritorno dai quali è obbligatoria la quarantena di 14 giorni, dopo che è stato registrato un aumento dei nuovi positivi del 69% rispetto alla settimana precedente. Anche il Lussemburgo stato inserito nell’elenco tedesco delle aree a rischio imponendo ai propri cittadini la quarantena se rientrano dal Paese. Ma il Lussemburgo non ci sta: l’alto numero di nuove infezioni è dovuto al fatto che vengono testati anche i pendolari transfrontalieri dei paesi vicini Germania, Francia e Paesi Bassi. Ed è a questi che si può attribuire il suo 18% di nuove infezioni.
Zona calda dell’epidemia è diventato anche l’Est Europa. In Albania, dove si contano oltre 6mila casi confermati di coronavirus, è anche arrivata una squadra composta da sette unità, tra medici ed infermieri dall’Italia per aiutare il personale sanitario locale a far fronte all’emergenza. Insieme a loro è decollato anche un carico di 500mila mascherine chirurgiche. Porte chiuse anche per i cittadini provenienti da Kossovo e Serbia (dove il numero di contagiati ogni centomila abitanti nelle ultime due settimane è di 65,9). La Croazia, con meno di seimila infettati dall’inizio dell’epidemia, e un bilancio ancora provvisorio di 157 vittime, non è tra le zone più temibili. Dalla fine di luglio, i casi ancora attivi sembravano anzi in calo, ma sabato scorso il grafico ha segnato per la prima volta in dieci giorni un pur modesto +16.