Avventata, sconsiderata e basata su pochi dati: così esperti e ricercatori di tutto il mondo, intervistati dalla rivista Nature, valutano la registrazione del vaccino russo anti-Covid Sputnik V annunciata ieri dal presidente russo Vladimir Putin. Preoccupa soprattutto la sicurezza poiché non c’è stata una sperimentazione su larga scala. Per Francois Balloux, dello University College di Londra, è «una decisione avventata e incosciente. Fare vaccinazioni di massa con un vaccino non testato adeguatamente non è etico», mentre per l’Associazione delle organizzazioni per le ricerche cliniche in Russia somministrare il vaccino prima di un’accurata indagine sulla sua efficacia rischia di esporre le persone a pericoli potenzialmente molto gravi.
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La Russia, che con 900mila contagi e oltre 15mila morti accertati, è uno dei Paesi più colpiti dalla pandemia ed è anche uno di quelli che si sono attivati in fretta per sperimentare un vaccino efficace contro il coronavirus. Il vaccino russo è stato soprannominato Sputnik V in onore del primo satellite dell’Unione Sovietica mandato in orbita attorno alla Terra nel 1957, ma la comunità scientifica ha ancora parecchi dubbi sul suo utilizzo. Non esistono dati noti riguardanti l’efficacia e la sicurezza del vaccino russo. Su questo punto la comunità scientifica è compatta perché non sono mai state condivise informazioni sugli studi in corso. Secondo quanto dichiarato dal ministro della Salute Mikhail Murashko, il vaccino avrebbe stimolato in tutti i volontari «un alto livello di anticorpi» e nessuno di loro «ha avuto serie complicazioni».
Il vaccino russo, secondo i dati dell’Oms, sarebbe ancora nella fase 1 della sperimentazione clinica, quella in cui si testa la sicurezza e la capacità di indurre una risposta immunitaria su un numero ristretto di persone. A metà giugno il vaccino era stato testato su 38 persone, probabilmente militari poi salite a 78. Mentre l’istituto statale che lo produce, Gamaleya, ha dichiarato di aver completato la fase 2 il 3 agosto e di aver subito cominciato lo studio clinico in fase 3.
La fase 3 richiede in genere almeno un anno di lavoro. Accorciando i tempi 4-6 mesi. Perché vi sia l’approvazione dell’Agenzia regolatoria di riferimento, si deve dimostrare, con uno studio su decine di migliaia di persone sane, che il vaccino sia in grado di prevenire l’infezione o almeno le forme gravi di malattia, senza causare effetti collaterali di rilievo. I soggetti vaccinati, a rischio di infezione, vengono messi a confronto con un gruppo di non vaccinati. Tra i volontari immunizzati deve esserci un numero inferiore di contagi rispetto al gruppo di controllo e i risultati devono essere statisticamente significativi.