La ricostruzione in tempi record. L’ inaugurazione lo scorso 3 agosto segnata dal dolore dei parenti delle vittime che avevano chiesto alle istituzioni di non essere dimenticati. Ed oggi è il giorno del ricordo: due anni fa, proprio 14 agosto, alle 11:36, il crollo del Ponte Morandi dove persero la vita 43 persone. «Le 43 vittime non possiamo dimenticarle. A nome del governo garantiamo l’impegno di non lasciare Genova sola. Abbiamo creato le premesse affinché Genova possa rinascere. Continueremo a chiedere giustizia, e c’è il nostro impegno a garantire che le nostre infrastrutture possano essere sempre più sicure e efficienti», ha detto il premier Conte durante la cerimonia di commemorazione.
LEGGI ANCHE: Dal crollo alla ricostruzione: il nuovo ponte di Genova è realtà
Giustizia è quello che chiede la città di Genova. L’incidente probatorio sulle cause del crollo, atteso per inizio 2020, è slittato di un anno per controversie fra i periti ed emergenza Covid. La perizia degli esperti nominati dal gip, dopo varie proroghe, dovrà essere consegnata solo il 31 ottobre. Sarà quella la prova che cristallizzerà eventuali responsabilità su cui poi si baserà il futuro processo. In questi 24 mesi sono stati indagati gli ex vertici di Aspi, di Spea, la società che faceva le manutenzioni, i funzionari del ministero dei Trasporti e i tecnici. Settantuno indagati, più le due società, accusate a vario titolo di disastro colposo, omicidio colposo plurimo, attentato alla sicurezza del trasporti, falso.
Nel frattempo a base più solida per ragionare sembra essere l’ormai famoso “video Ferrometal”, ripreso dalle telecamere di sorveglianza di quest’azienda, le uniche a inquadrare sufficientemente la pila 9 nel momento del collasso. Si vede lo strallo di sud ovest rompersi in un punto vicino alla sommità. Anche se è considerato la prova regina il video non è inequivocabile, perché l’impianto di videosorveglianza non aveva un’elevata frequenza di frame ripresi e quindi ci sono vari istanti non coperti da immagini.
Finora l’ipotesi privilegiata dalla procura è la rottura dello strallo. Se fosse confermata, chiamerebbe in causa non solo il gestore del ponte (Autostrade per l’Italia, Aspi, che fa capo alla famiglia Benetton) e la Spea (dello stesso gruppo) che ha fatto la maggior parte dei controlli, ma anche il ministero delle Infrastrutture: per gli stralli della pila 9, stava per partire un intervento di rinforzo, approvato dalle strutture ministeriali in tempi non rapidi e senza accorgersi che sarebbe stato urgente.
Ma il 31 luglio 2019 è stata depositata un’altra perizia: quella in cui i tre periti nominati dal gip (Gianpaolo Rosati, Massimo Losa e Renzo Valentini) descrivono le condizioni in cui si trovava il viadotto prima di crollare. E la descrizione parla soprattutto di corrosione diffusa non solo sugli stralli, ma anche in diverse parti della struttura, con assenza di interventi di manutenzione che potessero rallentarla o eliminarla. La perizia ha riscontrato anche alcuni difetti di costruzione, in parte già noti persino al progettista, Riccardo Morandi, che nel 1981 fece una relazione abbastanza preoccupata sullo stato del viadotto, che all’epoca aveva appena 14 anni.
Il 13 settembre la Procura di Genova ha fatto arrestare tre manager autostradali e ne ha fatti interdire altri, nell’ambito dell’inchiesta sui report ispettivi dei viadotti. Nell’ordinanza del gip, le intercettazioni e le registrazioni trovate dalla Guardia di finanza. Materiale imbarazzante, da cui paiono emergere una consapevolezza delle condizioni di degrado della rete e la volontà di risparmiare sulle manutenzioni, per non diminuire gli utili degli azionisti.
A poco più di due anni dalla tragedia costata la vita a 43 persone, ad ottobre verrà consegnata la perizia sulle cause che hanno portato al collasso del viadotto il 14 agosto 2018. «Un’inchiesta così complessa non può esaurirsi in breve tempo. E ci sono variabili che non dipendono dalla nostra volontà», ha spiegato il procuratore capo di Genova Francesco Cozzi. «Nei primi mesi del 2021 tireremo le fila e chiuderemo. L’esito del processo è un altro discorso, ma è un nostro obiettivo evitare che l’indagine sul ponte si concluda con una denegata giustizia: è inaccettabile, soprattutto in vicende delicate come questa».