Sì al terzo mandato per gli eletti M5s e via libera alle alleanze locali con il Pd e i partiti «tradizionali». Gli iscritti alla piattaforma Rousseau hanno modificato, rispettivamente con l’80 e il 60% dei voti a favore, due principi fondativi del M5s. Si tratta di una decisione storica per il Movimento 5 Stelle e che, nel concreto, avrà come primo effetto quello di consentire alla sindaca di Roma Virginia Raggi di ricandidarsi: la prima cittadina risulta infatti al terzo mandato, ma la modifica permette di annullare il conteggio della sua prima esperienza in Campidoglio. E non solo, la votazione dà il via libera al dialogo con altri partiti a livello locale, in vista delle prossime amministrative.
«Hanno partecipato alle due votazioni un totale di 48.975 aventi diritto (28%) – fa sapere il Movimento – che hanno espresso complessivamente 97.685 preferenze». Nello specifico il quesito sulla modifica del mandato zero ha ottenuto 39.235 voti pari all’80,1 % dei votanti. I “No” hanno ricevuto 9.740 voti, pari al 19,9 % del totale dei voti. Il quesito invece sulla possibilità di alleanze per le elezioni amministrative, oltre che con liste civiche, anche con i partiti tradizionali ha ricevuto 29.196 voti favorevoli, pari al 59,9% dei votanti sulla piattaforma Rousseau. I “No” sono stati 19.514, il 40,1% del totale.
Esulta l’ex leader grillino Luigi Di Maio: « Un grande in bocca al lupo a Virginia Raggi per la sua ricandidatura e buona fortuna a tutti i candidati sindaco che saranno a capo di coalizioni politiche nei Comuni dove correremo per le elezioni del 20 settembre. Da oggi inizia una nuova era per il Movimento 5 Stelle nella partecipazione alle elezioni amministrative. Includere e aggregare saranno le vie da percorrere, rispettando e difendendo sempre i nostri valori». Mentre la sindaca Raggi: «Mi ricandido. Ora avanti a testa alta. #Insieme. Grazie a tutti per il sostegno e l’incoraggiamento che non avete mai fatto mancare. Parlo al plurale perché noi siamo una squadra: uniti vinceremo le sfide che ci attendono».
Sul terzo mandato per gli eletti del M5s l’ex capo politico Luigi Di Maio, oggi ministro degli Esteri, era sempre stato irremovibile. Fino a quando ha tirato fuori dal cilindro l’idea del «mandato zero»: la prima elezione, insomma, non veniva conteggiata. Se non fosse stata votata questa radicale riforma su Rousseau, sarebbero stati molti i big M5s a non potere ricandidarsi. Un paletto sul quale il fondatore Beppe Grillo si era espresso a più riprese: «Regola inamovibile». Poi, davanti alle esigenze di rimanere al governo con gli uomini e le donne più fidate, la retromarcia.
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L’impressione, forte, è che questo sia il primo passo, timido e prudente, nella strategia del Movimento per una rimessa in discussione del principio anche su scala nazionale. D’altronde se vale per i sindaci perché non dovrebbe valere anche per i parlamentari? La regola del doppio mandato potrebbe non ricandisare personaggi di spicco del Movimento come il presidente della Camera, Roberto Fico, i ministri Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede, Nunzia Catalfo, i sottosegretari Riccardo Fraccaro, Laura Castelli, Manlio Di Stefano. Eppure tra questi nomi una eccezione di assoluto spicco c’è: quella di Alessandro Di Battista, che alla fine della scorsa legislatura non si è ricandidato e che, in base alla regola dei due mandati, potrà correre per un seggio in Parlamento alla prossima tornata elettorale.
C’è poi la questione alleanze. La votazione apre la strada ad un alleanza con il Pd anche a livello locale. «È un fatto positivo — commenta Nicola Zingaretti, segretario del Pd —. Siamo un’alleanza tra forze diverse, che rimangono diverse. Ma per governare bisogna essere alleati, non si può essere avversari». Segnali che arrivano a un anno dalla nascita dell’intesa che ha portato al sostegno del Conte 2 e che testimoniano un clima cooperativo tra le forze di governo.