Identificare un referente scolastico per il Covid-19 adeguatamente formato, tenere un registro degli eventuali contatti tra alunni e/o personale di classi diverse, richiedere la collaborazione dei genitori per misurare ogni giorno la temperatura del bambino e segnalare eventuali assenze per motivi di salute riconducibili al Covid-19. Sono alcune delle raccomandazioni contenute nel rapporto “Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia” messo a punto dall’Istituto superiore di Sanità, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, Inal, Fondazione Bruno Kessler, Regione Veneto e Regione Emilia-Romagna, che contiene i comportamenti da seguire e le precauzioni da adottare nel momento in cui un alunno o un operatore risultino sospetti o positivi.
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È uno dei documenti che accompagnano la scuola e i servizi dell’infanzia verso l’apertura del 14 settembre. Ma non è l’unico né sarà quello definitivo. Fino al suono della campanella ci sarà qualcosa da limare e aggiungere, in base all’evoluzione dell’epidemia. Intanto però gli istituti possono cominciare a prepararsi seguendo linee guida operative per organizzare la filiera di interventi. Che parte da un referente interno, non medico, passa attraverso il contatto con le famiglie e un responsabile presso le Asl. In ogni istituto scolastico ci dovrà essere una stanza dove tenere l’alunno colpito da malessere fino all’arrivo dei genitori, la presenza di una figura che gli starà vicino fino alla presa in carico da parte della famiglia, adeguata igienizzazione degli spazi.
La quarantena di intere classi o del plesso non scatta automaticamente, verrà decisa caso per caso dalla Asl di competenza del territorio. E questo vale anche quando saranno i genitori a segnalare uno stato di indisposizione dello scolaro che poi si rivela essere positivo al virus. «Un singolo caso confermato in una scuola non dovrebbe determinarne la chiusura soprattutto se la trasmissione nella comunità non è elevata», si legge nel protocollo. «La chiusura di una scuola o parte della stessa dovrà essere valutata dal dipartimento in base al numero di casi confermati e di eventuali cluster e del livello di circolazione del virus all’interno della comunità».
Lo scopo del documento è fare in modo che nella fase di ripresa non prevalga il panico al primo insorgere di casi e focolai. Vengono così analizzati gli scenari più frequenti che potrebbero presentarsi. Se a scuola un alunno ha un sintomo sospetto o la febbre superiore ai 37,5 gradi, il referente interno telefona al genitore, accompagna il ragazzo in una stanza, gli fa misurare la febbre con termometro senza contatto, ambedue indossano la mascherina (sopra i 6 anni), i genitori successivamente avvertono il pediatra di famiglia, se necessario il Dipartimento di prevenzione provvede all’esecuzione del test diagnostico. Se positivo, inizia la ricerca dei contatti stretti avuti nelle 48 ore precedenti che «saranno posti in quarantena per quattordici giorni». Se i sintomi e la febbre sopraggiungono a casa, l’alunno non va a lezione, la scuola va informata dell’assenza per motivi di salute, pediatra o medico di famiglia possono disporre il tampone.
Più o meno uguale il percorso per gli operatori che accusano sintomi in servizio o a casa, con la differenza che se si trovano al lavoro si recheranno autonomamente nel loro domicilio protetti da mascherina. Resta una criticità, segnalata nel documento. Deve essere «identificato il meccanismo con il quale gli insegnanti posti in quarantena possano continuare a svolgere regolarmente la didattica a distanza, compatibilmente con il loro stato di lavoratori in quarantena». Quest’ultima infatti, essendo equiparata dall’Inps a malattia, impedirebbe al docente di svolgere la didattica a distanza. È questo l’orientamento di insegnanti e i sindacati, pronti alla mobilitazione. Ecco perché una parte del governo spinge per effettuare test rapidi immediati in caso di contagio, evitando così la quarantena di tutta la classe.