Era il 24 agosto 2016 quando una scossa di magnitudo 6 fece tremare quattro regioni: Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. Furono 299 i morti e oltre 380 i feriti. Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto furono l’epicentro ma a quattro anni dalla tragedia una rinascita è ancora lontana. Solo poco più del 3% delle 80mila abitazioni dichiarate inagibili è oggi di nuovo utilizzabile, anche se le domande inviate per accedere al contributo per i lavori sono state appena 13.900. Intanto 41mila persone sono ancora senza casa e vivono grazie all’assistenza statale con un contributo per l’affitto, in una soluzione abitativa d’emergenza, in alberghi o container.
E non va meglio nella ricostruzione pubblica. Solo 86 lavori, su 1405 interventi finanziati, sono stati conclusi. Di questi 17 sono scuole, ma ne mancano ancora oltre 230 da sistemare. Anche i cantieri delle chiese, patrimonio culturale di enorme valore nell’area colpita dal terremoto, procedono a rilento: su 942 interventi finanziati, oltre 740 devono ancora cominciare. Ma, assicura il commissario Giovanni Legnini le nuove ordinanze varate da febbraio ad oggi, insieme con alcune norme inserite nel decreto semplificazioni, nel Cura Italia e nel decreto Agosto, sbloccheranno l’impasse. Secondo Legnini entro la primavera del 2021 apriranno almeno altri 5mila cantieri. Intanto, causa Covid, tutti i lavori sono bloccati da oltre sei mesi.
Ritardi nelle risposte e una burocrazia lunga che, spesso, ha portato i cittadini a desistere anche solo dal presentare la domanda di richiesta di un contributo per la ristrutturazione delle proprie abitazioni distrutte. È questo il mix fatale che a quattro anni dalla prima scossa di terremoto ha lasciato tutto immobile. Dal 2016 sono state presentate 13948 domande per ottenere un contributo economico per iniziare i lavori, di queste 9687 per danni lievi e 4261 per danni gravi. Ma, secondo il censimento della protezione civile, erano 80mila gli edifici che necessitavano di interventi, di cui poco più di 30mila per danni lievi e poco meno di 50mila per danni gravi. Le stesse richieste di contributo, poi, sono ferme al palo: quasi 8mila giacciono negli uffici speciali per la ricostruzione delle quattro regioni colpite, in attesa di essere vagliate, mentre le restanti, già accettate, si dividono tra cantieri in corso d’opera (2758) e lavori terminati (oltre 2500). Di fatto, quindi, solo il 18% delle richieste ha trovato la propria naturale conclusione in un’abitazione di nuovo agibile. Mentre la percentuale si abbassa fino al 3% se si tiene conto del totale delle case che avrebbero bisogno di lavori.
Il rischio è quello di non ricostruire più. I terremotati che hanno subito danni lievi, infatti, hanno tempo fino al 20 settembre (anche se il Commissario ha chiesto all’esecutivo di prorogare il termine), per presentare la richiesta di contributo. Pena la perdita degli aiuti statali per poter continuare a vivere, come il contributo di autonoma sistemazione, cioè un assegno mensile per pagare l’affitto, o il diritto a vivere nelle Soluzioni abitative d’emergenza. Un colpo di acceleratore a questo ritmo lento, forse troppo, è stato dato dalle ultime ordinanze emesse dalla struttura commissariale. In primis l’ordinanza 100, di maggio 2020, che alleggerisce il lavoro degli uffici speciali regionali, dando la possibilità ai singoli professionisti che presentano il progetto di autocertificare le conformità urbanistiche e di determinare l’importo del contributo per la riparazione o la ricostruzione dell’immobile. Di fatto, quindi, si annulla il passaggio della pratica istruttoria nelle mani dell’Usr regionale, salvo dei controlli a campione, e i termini per la concessione del contributo sono fissati a un massimo di 110 giorni, nei casi più complessi.
Anche la ricostruzione pubblica è ferma. Le chiese sono inaccessibili, chiuse dopo quattro anni, mentre si cerca di riqualificare l’area rendendola attrattiva per i turisti. Sono 942 quelle danneggiate, 100 quelle ripristinate, mentre in 45 è presente un cantiere attivo. Per il restante 80%, invece, non è stato avviato alcun procedimento. Per questo è introdotto un’ulteriore ordinanza che attua le norme contenuto nel decreto semplificazione, disciplinando ex novo l’affidamento della progettazione e dei lavori. In pratica diocesi e enti ecclesiastici potranno disporre direttamente, o con gare ristrette, dei tecnici, come avviene per la ricostruzione privata.
E poi ci sono le scuole, molte delle quali ancora “sistemate” all’interno di moduli container. Dei 2,1 miliardi impegnati, i soldi effettivamente dati alla ricostruzione pubblica sono solo 200 milioni di euro. Cioè il 10%. A questi si aggiungono 27 milioni di euro concessi direttamente ai paesi colpiti per far fronte alle piccole opere o a interventi già avviati. Sono 1405 gli interventi necessari individuati dalle quattro regioni colpite, di questi 250 riguardano le scuole, ma solo il 12% è stato concluso o avviato. Gli altri sono ancora fermi, tra procedimenti non avviati e quelli in progettazione.
Per la ricostruzione saranno spesi miliardi di euro. Ventidue quelli che erano stati previsti dal Dipartimento di protezione civile, sulla base dei primi danni. Ad oggi, però, sono stati stanziati circa 3 miliardi di euro, di cui 2 miliardi e 160 milioni per 2300 interventi di ricostruzione pubblica (tra cui le chiese), e 900 milioni di contributi concessi ai privati. Ma i soldi effettivamente erogati sono appena appena 726 milioni, di cui 526 da Cassa depositi e prestiti per la ricostruzione privata e 200 dal Ministero dell’economia, per quella pubblica. Un’ultima immissione di fondi è stata versata proprio nel primo semestre di quest’anno, si legge dall’ultimo report rilasciato dalla struttura commissariale, nonostante la riduzione e il blocco delle attività dovute al coronavirus.