Il vaccino antinfluenzale potrebbe aiutare nel caso di una temuta seconda ondata di coronavirus. Ne è convinta la maggior parte della comunità scientifica, tanto che il ministero della Salute ne raccomanda l’estensione della copertura anche ai più giovani, a partire dai bambini. Non solo per l’impatto sulla salute del singolo, ma anche per ridurre il rischio di circolazione di più virus assieme, con conseguente impatto sulla sanità pubblica e minor rischio di “misunderstanding” diagnostici in caso di sintomi comuni alle due infezioni.
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Le prime evidenze scientifiche sembrano indicare che la protezione dal virus stagionale, e più in generale la prevenzione attraverso i vaccini, pur non agendo direttamente sul virus responsabile di Covid-19, possano avere un impatto positivo sui rischi riducendo quasi del 50% il rischio di contrarre l’infezione. Lo rivela una ricerca scientifica condotta dall’Istituto Mario Negri insieme al Politecnico di Milano, i cui risultati sono stati pubblicati da Il Sole 24 Ore: dopo aver comparato i dati è risultato che «il rischio d’infezione da Sars-CoV-2 sarebbe ridotto del 43% dopo vaccinazione anti-polio, del 47% in chi è protetto dall’Haemophilus influenzae, del 28% dopo vaccino anti-pneumococco. Il trend di riduzione del rischio, peraltro, si mantiene anche per chi si è vaccinato nei confronti di queste infezioni negli ultimi cinque anni».
«Il problema è ancora controverso, ma i dati fino ad ora disponibili sembrano indirizzare in questo senso – spiega Giuseppe Remuzzi, direttore scientifico dell’Istituto Mario Negri – Per l’Italia, stiamo ancora valutando i risultati dello studio del nostro Istituto e del Policlinico di Milano su quanto avvenuto nei mesi scorsi tra persone vaccinate per l’influenza e non, in termini di possibilità di ammalarsi di Covid-19 e di gravità della malattia. Ma ci sono prove che dimostrano come non solo il vaccino anti-influenzale ma anche altri, ad esempio quello per lo pneumococco, per la poliomielite e per la tubercolosi, potrebbero avere un ruolo protettivo nello sviluppo di Covid-19. Si tratta di ricerche pubblicate sulla piattaforma medRxiv, quindi non ancora sottoposte a rivalutazioni di terzi. Ma si tratta comunque di dati incoraggianti».
L’indagine ha comparato i dati tra persone sottoposte ad esami per sospetta infezione dal coronavirus e che si erano vaccinate per l’influenza e per altre malattie, come la poliomelite e la varicella. Ed è emerso che la possibilità di ammalarsi di Covid-19 è notevolmente ridotta proprio in chi si è sottoposto alla vaccinazione antinfluenzale negli ultimi due anni. Ma anche altre vaccinazioni sono risultate efficaci: «Le vaccinazioni contro poliomelite, batterio Haemophilus influenzae di tipo B, morbillo-parotite-rosolia, varicella, pneumococco, epatite A e B, oltre ovviamente a quella per l’influenza nella popolazione anziana, somministrate negli ultimi uno, due e cinque anni sono risultate associate a una riduzione dei tassi di infezione da Sars-CoV-2, anche dopo aggiustamento delle analisi per incidenza di infezione da Sars-CoV-2 nell’area geografica considerata e incidenza di tamponi effettuati, parametri demografici, presenza di altre malattie e numero di altre vaccinazioni effettuate», spiega Remuzzi.
I vaccini, insomma, potrebbero avere un ruolo significativo nei rischi di ammalarsi di Covid-19 e anche sul percorso della malattia. «Essere vaccinati per l’influenza potrebbe favorire una miglior risposta a Covid-19: lo fa pensare uno studio condotto in Brasile su più di 92.000 persone con infezione confermata da Sars-CoV-2 – spiega Remuzzi – Chi si era vaccinato recentemente aveva un rischio ridotto dell’8% di finire in terapie intensiva e del 18% di necessitare di trattamento di assistenza respiratoria invasiva, rispetto ai non vaccinati. Non si possono trarre conclusioni definitive, ma comunque questi dati sono di grande interesse». Tra le ipotesi che potrebbero sostenere l’efficacia delle vaccinazioni antinfluenzali c’è uno studio di laboratorio dell’Università di Hong Kong pubblicato su The Lancet che dimostra come i virus influenzali potrebbero facilitare l’ingresso di Sars-CoV-2 nell’apparato respiratorio.