Sono 112 i boss mafiosi ancora ai domiciliari nonostante il decreto Bonafede di inizio maggio. Nel pieno dell’emergenza da coronavirus, avevano ottenuto lo scarceramento temporaneo per i rischi per la salute collegati alla diffusione del Covid-19. Dopo il provvedimento del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, arrivato a seguito di polemiche politiche e civili, ne sono tornati in carcere 111 su 223.
A fare i conti è stato il quotidiano La Repubblica, che ha chiesto i numeri al ministero della Giustizia. E ha scoperto che gli scarcerati in seguito al pericolo del coronavirus sono stati 223: tra questi, sono tornati in prigione 111. In realtà il numero inizialmente indicato dal ministro Bonafede era di «498 scarcerati tra alta sorveglianza e 41 bis». Al Dap spiegano che i numeri non tornano perché solo 223 erano usciti per motivi legati al Covid, mentre per gli altri 275 il beneficio dei domiciliari era legato a «fisiologiche cause processuali, applicazione di benefici previsti dalla legge, motivazioni sanitarie pregresse del tutto distinte dal rischio Covid».
Il numero dei condannati ancora ai domiciliari resta dunque significativo. Tra quelli segnalati, c’è Ciccio La Rocca, il padrino di Caltagirone su cui aveva indagato il giudice Falcone e che era stato condannato all’ergastolo. O il ras della mafia dei pascoli Gino Bontempo, famoso per aver fatto incetta dei contributi europei per i Nebrodi. O ancora, l’ex vicino di casa di Totò Riina, Pino Sansone, a casa da fine aprile.
A maggio, Bonafede aveva emanato un decreto per tentare di recuperare alla mole di scarcerazioni, causate anche e soprattutto alle condizioni di vita in carcere che non garantiscono una permanenza in totale sicurezza per la salute. Grazie al decreto più di cento persone sono rientrate negli istituti penitenziari, tra cui il padrino della Cupola Francesco Bonura e il killer di Cosa Nostra Antonino Sudato, il carceriere del piccolo Giuseppe Di Matteo, Franco Cataldo, e il boss palermitano Nino Sacco, erede dei Graviano di Brancaccio.
Secondo il ministero della Giustizia si tratta comunque di «un risultato importante». «Il meccanismo del decreto – dicono – si è rivelato decisivo perché, rispettando l’autonomia dei giudici, li ha chiamati a riconsiderare tutti i provvedimenti di scarcerazione e ha consentito di fare rientrare in carcere i boss più pericolosi».