Che si tratti di plastica, vetro, legno, metallo o stoffa è molto raro che il coronavirus si trasmetta attraverso il contatto con superfici infette. Un team di ricerca americano guidato da scienziati del Dipartimento di Medicina del Montefiore Medical Center di New York, dopo le analisi e le prove emerse dagli articoli pubblicati in materia, definisce «inconsueta» la trasmissione del patogeno attraverso il contatto con superfici contaminate. La ricerca pubblicata su Annals of Internal medicine rimarca che il droplet resta il modo più comune per diffondere il Covid-19.
Nel documento “Raccomandazioni ad interim sulla sanificazione di strutture non sanitarie nell’attuale emergenza COVID-19: superfici, ambienti interni e abbigliamento” pubblicato dall’Istituto Superiore della Sanità (ISS) è indicato quanto tempo “resiste” il coronavirus SARS-CoV-2 su una data superficie. Analisi di laboratorio hanno evidenziato ad esempio che particelle virali infettanti possono resistere fino a 7 giorni sulla superficie esterna delle mascherine; fino a 4 giorni sullo strato interno delle mascherine, sulla plastica e sull’acciaio inox; fino a 2 giorni su vetro e banconote; fino a un giorno su tessuto e legno; fino a 30 minuti su carta da stampa e così via. Benché si tratti di intervalli di tempo significativi, la trasmissione reale del virus è molto diversa da un test di laboratorio.
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Per evincere quanto sia raro il contagio da coronavirus attraverso le superfici infette, anche di materiale diverso, i ricercatori del Montefiore Medical Center, dell’Ospedale dell’Università della Pennsylvania, del Massachusetts General Hospital, della Harvard Medical School e del Brigham and Women’s Hospital hanno studiato articoli scientifici pubblicati tra gennaio e settembre 2020, nonché rapporti istituzionali o governativi. Hanno così determinato capacità di replicazione di Sars-cov-2, possibili host e fattori ambientali che contribuiscono alla trasmissione di Covid-19.
«L’incertezza iniziale sulla trasmissione, a volte alimentata da ondate di disinformazione o sovrainterpretazione degli studi in vitro, ha portato alla paura sia tra gli operatori sanitari che tra il pubblico in generale – scrivono gli autori – ma in questi mesi abbiamo compiuto notevoli progressi nella comprensione della trasmissione». Se infatti ci sono studi che suggeriscono che le particelle virali potrebbero vivere per ore dopo esser state depositate su superfici, «le analisi effettuate nel mondo reale indicano che i livelli di Rna virale nell’ambiente sono molto bassi». Il contagio attraverso superfici di materiali, concludono, «risulta insolito e anche nei pochi casi in cui si presume possa essere avvenuto, la trasmissione respiratoria non poteva del tutto essere esclusa». Naturalmente i risultati di questo studio non devono far abbassare la guardia sulla corretta igiene delle mani con acqua e sapone o un gel idroalcolico, che rappresenta uno dei tre baluardi (assieme a mascherina e distanziamento di almeno un metro) per spezzare la catena dei contagi.
Le prove del team di ricerca, guidato da Eric A. Meyerowitz e Aaron Richterman indicano che trasmissione attraverso goccioline di saliva (droplet) e, meno comunemente, aerosol è quella nettamente prevalente. Quindi la vicinanza e la ventilazione degli ambienti sono i «determinanti chiave del rischio di trasmissione». Inoltre, nonostante il virus vivo sia stato isolato in saliva, feci, sperma e sangue, non sono stati segnalati casi di trasmissione della Sars-Cov-2 per via fecale-orale, sessuale o ematica e neppure attraverso il latte materno. La ricerca evidenzia anche che il momento in cui si è più pericolosi per gli altri è il giorno prima dell’insorgenza dei sintomi Covid, mentre la contagiosità diminuisce drasticamente entro una settimana dal loro esordio.