Il taglio dei parlamentari confermato dal referendum è senz’altro uno dei cambiamenti epocali della storia repubblicana, ma non può negare che il M5s abbia un problema: la sfiducia dei cittadini. Sconfitti ovunque alle regionali: in ritirata non strategica al Sud, praticamente assenti al Nord. Anche l’unico esperimento di candidato comune, Ferruccio Sansa in Liguria, fallisce miseramente.
«Non faccio mistero, l’ho sempre detto che potevano essere organizzate diversamente e anche per il Movimento, con un’altra strategia», ha commentato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Il Movimento nato grazie a Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio aveva toccato il suo massimo storico durante le elezioni nazionali del 2018, quando erano ancora duri e puri. Qualcosa è cambiato poco tempo dopo, quando si resero conto di doversi «sporcare le mani» e allearsi con chi in passato definivano il male della politica del Paese: la Lega di Salvini e il Partito democratico.
E così in Campania, la terra del presidente della Camera Roberto Fico e di Luigi Di Maio, il Movimento passa dal 17% del 2015 al 10% del 2020, una caduta di 7 punti percentuali. Nella Liguria di Beppe Grillo è andata peggio, dal 22,29% del 2015, il partito ha perso il 14,46% dei voti toccando il 7,83% nel 2020. Altro duro colpo in Toscana dove dal 15% si è passati al 6,4%, perdendo oltre la metà dei voti del 2015.
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Il Movimento 5 Stelle in questo momento dovrebbe ritrovare la propria identità, quella che l’aveva reso forte nel 2018. A questo dovrebbero servire gli Stati generali, invocati da più parti, per definire una linea e ridare vita al Movimento ormai in crisi. Un dato di fatto innegabile per Roberto Fico. Ed è una crisi che «dura da troppo tempo», a cui si deve porre rimedio attraverso un confronto, anche duro, ma che non può in nessun modo risolversi ed esaurirsi in una giornata, in Stati generali «spot». Bensì occorre un percorso di cambiamento vero, che parta dal capire come si è trasformato il Movimento e dove vuole arrivare.
Una riflessione che non può certo focalizzarsi solo sulla futura leadership, sia essa collegiale o individuale, né tantomeno trasformarsi in una «guerra tra bande», dove prevalgano «personalismi o egoismi», sottolinea Fico. Al contrario, serve ripartire dall’identità stessa del Movimento, che potrebbe anche cambiare e passare da post-ideologico a ideologico, magari guardando al campo dei progressisti. Ripartire, dunque, dai temi identitari, come l’acqua pubblica, la riforma della Rai, il conflitto di interessi: i 5 stelle al governo devono ora avere la forza e l’ambizione di «alzare l’asticella». E se la crisi che ha investito la creatura voluta da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio si è manifestata anche alle ultime elezioni regionali, dove è «innegabile la sconfitta», le due cose non sono certo legate e sarebbe «sbagliato farlo». Così come la crisi non è «colpa di una sola persona, ma è una responsabilità collettiva».
Per la prima volta da quando è stato eletto presidente della Camera, Roberto Fico prende la parola per parlare del Movimento. E il suo sembra un intervento pensato proprio per chiamare una tregua mentre fuori – sui social, nelle chat – infuria una battaglia dopo le affermazioni di Alessandro Di Battista. «Credo sia stata la più grande sconfitta della storia del Movimento 5 Stelle», non usa mezzi termini Di Battista nel commentare in diretta Facebook i risultati delle Regionali. «In Campania passiamo dal 17 al 10%, in Puglia siamo passati al 10%, in Veneto c’è stata un’enorme debacle con zero consiglieri regionali, in Liguria siamo andati in coalizione e siamo scesi al 7% dal 22%». E proprio sul tema delle coalizioni Di Battista avverte: «Parlare ora di alleanze è del tutto sbagliato, sia per chi le vuole che per chi no. Non è il tema delle alleanze il tema della crisi del M5S, ma bensì l’innegabile crisi identitaria del Movimento». Una crisi che affonda le radici in quel «sogno cui hanno creduto in tanti ma in cui oggi non credono più», facendo così «mancare le ragioni per votare i 5 Stelle».
«A me preoccupa l’indebolimento del M5S, non c’entra nulla il governo o la legislatura che proseguiranno. Io ho paura che le cose buone che abbiamo fatto possano essere cancellate». Ma chi si aspettava una stoccata all’attuale reggenza Crimi resta deluso: «Non c’è un problema di leadership forte. C’è stata, ma anche in quel periodo abbiamo subito una sconfitta e dimezzato i voti alle Europee. Potremmo mettere anche De Gaulle alla guida del M5S, non cambierebbe nulla». La soluzione secondo Di Battista può essere solamente una: «Serve subito una nuova agenda con gli Stati generali il prima possibile, ben partecipati e ben organizzati. Non possiamo mettere la polvere sotto il tappeto».