«È tempo di gestire le migrazioni insieme, con un nuovo equilibrio tra responsabilità e solidarietà. Il vecchio sistema di gestione non funziona più». La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha presentato il nuovo patto su asilo e migrazione. «Bisogna bilanciare molti interessi. L’Europa deve abbandonare le soluzioni ad hoc. Questo pacchetto complesso riflette un ragionevole equilibrio: condividiamo tutti i benefici, condividiamo tutti il fardello».
La principale novità è che non ci saranno più i trasferimenti obbligatori di migranti sbarcati sulle coste italiane verso gli altri Paesi dell’Unione europea, come invece richiesto dal governo italiano. Il piano della Commissione ora dovrà essere approvato dagli Stati membri e dovrebbe sostituire il regolamento di Dublino, da anni molto criticato perché impone il criterio del «primo Paese d’arrivo» per decidere quali Stati debbano occuparsi dell’identificazione e soprattutto della richiesta d’asilo di chi proviene da un altro continente. Dal 2015 le pressioni migratorie hanno generato grandi tensioni sulla gestione di questi flussi tra i Paesi europei, divisi tra chi chiedeva maggior solidarietà (tra cui l’Italia, che voleva i ricollocamenti obbligatori) e chi non accettava alcuna redistribuzione.
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L’esecutivo Ue ha elaborato una strategia, da oggi al vaglio del Parlamento europeo, che si regge su tre pilastri. La Commissione propone di introdurre innanzitutto «una procedura di frontiera integrata», che «per la prima volta comprende uno screening pre-ingresso che copra l’identificazione di tutte le persone che attraversano le frontiere esterne dell’Ue senza autorizzazione o che sono state sbarcate dopo un’operazione di ricerca e salvataggio», si legge in una nota. Ciò comporterà «anche un controllo sanitario e di sicurezza, rilevamento delle impronte digitali e registrazione nella banca dati Eurodac», già prevista dalle regole in vigore. Dopo lo screening, i migranti «potranno essere indirizzati nella giusta procedura, sia alla frontiera per determinate categorie», sia «nell’ambito di una normale procedura di asilo» per coloro che chiedono lo status di rifugiato. L’obiettivo è di prendere «decisioni rapide in materia di asilo o rimpatrio», promette la Commissione.
Il secondo pilastro del nuovo patto non prevede nessun ricollocamento obligatorio ma chiama in causa i singoli Stati Ue. La Commissione propone «un sistema di contributi flessibili da parte degli Stati membri» che potranno aprire le porte alla «ricollocazione dei richiedenti asilo dal Paese di primo ingresso», ma anche farsi carico del rimpatrio «di persone senza diritto di soggiorno» o offrire «varie forme di supporto operativo». Il nuovo sistema, come quello in vigore, si basa quindi su forme di sostegno su base volontaria, ma «nei momenti di pressione sui singoli Stati membri saranno richiesti contributi più rigorosi, sulla base di una rete di sicurezza». Quest’ultima si reggerà su «un meccanismo di solidarietà» che coprirà «lo sbarco di persone a seguito di operazioni di ricerca e soccorso, pressioni, situazioni di crisi o altre circostanze specifiche».
Il terzo pilastro è quello delle partnership coi Paesi extra-Ue. Questi «aiuteranno ad affrontare sfide condivise come il traffico di migranti», ma anche «a sviluppare percorsi legali» di ingresso nei Paesi Ue e garantiranno «l’efficace attuazione degli accordi e delle disposizioni di rimpatrio». L’Ue e suoi Stati membri «agiranno in unità utilizzando un’ampia gamma di strumenti per sostenere la cooperazione con i Paesi terzi in materia di rimpatri». La Commissione mira anche a rafforzare il controllo delle frontiere esterne con il Corpo permanente della guardia di frontiera e costiera europea, il cui inizio delle attività è previsto per il primo gennaio 2021.