Tra il secondo trimestre del 2019 e quello di quest’anno, sono stati persi 841mila posti di lavoro. Di questi 219mila sono degli autonomi, un comparto che è passato da 5,4 a 5,1 milioni di occupati con una flessione del 4,1%. A rivelarlo è l’ultimo studio pubblicato dalla Fondazione dei consulenti del lavoro. Intanto, nelle ore in cui è atteso un nuovo Dpcm con l’introduzione di nuove restrizioni a fronte di un aumento dei contagi, il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli avverte che coprifuoco e chiusure anticipate dei pubblici esercizi «aumentano l’incertezza e mettono a rischio decine di migliaia di attività. Sono prioritarie misure efficaci anti Covid e con una economia già in ginocchio va assolutamente evitato un secondo lockdown».
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Per il 79% dei professionisti, nei mesi bui dell’emergenza Coronavirus, ovvero tra aprile e maggio, le entrate sono scese, ma per il 35,8% il calo è stato «superiore al 50%», si legge nel dossier. I protagonisti di questa crisi economica sono soprattutto i professionisti tra i 30 e i 39 anni. Nel periodo preso in considerazione, tra il secondo trimestre 2019 e quello del 2020 se ne contano 110mila in meno sui 219mila complessivi. Mentre la discesa è del 2,4% nella fascia 40-59 anni e del 2,2% tra gli over 60.
I segmenti del lavoro autonomo più colpiti sono, in termini assoluti, i piccoli imprenditori del commercio con 71mila addetti in meno, ma anche nel mondo delle professioni intellettuali ad elevata qualificazione e di quelle tecniche, che vedono una perdita di 31mila e 39mila occupati. A livello settoriale la ricaduta ha riguardato, oltre al comparto della ristorazione e delle attività ricettive, anche gli agenti finanziari e assicurativi, la filiera dei servizi alle imprese (-11,3%), dell’informazione (-11,5%) e della formazione (-14,8%).
«Neppure il “bonus” autonomi, di cui hanno beneficiato oltre 4 milioni di lavoratori, è riuscito ad arginare le ingenti difficoltà reddituali e di liquidità riscontrate dai liberi professionisti», lamentano nel dossier i consulenti del lavoro. «È dunque chiaro – aggiungono – che bisogna fare scelte di lungo periodo per sostenere maggiormente il lavoro autonomo e, di conseguenza, far crescere i livelli occupazionali ad esso collegati».