Il coronavirus assedia i palazzi del potere e mette in discussione il funzionamento della stessa democrazia parlamentare. Rilanciando il dibattito sul voto a distanza. Soprattutto alla Camera dove Francesca Ermellino, deputata tarantina eletta con il Movimento 5 Stelle ed ora nel Misto, è solo l’ultima di una serie di contagiati che si sta allungando pericolosamente. Ieri erano risultati positivi tre capigruppo: Mariastella Gelmini (Forza Italia), Francesco Lollobrigida (Fratelli d’Italia) e Davide Crippa (M5S). I casi conclamati sono diventati 13 alla Camera e 3 al Senato.
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Per ragioni di sicurezza e anche, o soprattutto, per evitare di bloccare l’attività del Parlamento sta crescendo la richiesta di fare ricorso al voto da remoto. Il deputato del Pd Stefano Ceccanti ha steso una proposta di modifica del regolamento della Camera per consentire questa possibilità ed ha già raccolto a suo sostegno 114 firme. E la prossima settimana la conferenza dei capigruppo di Montecitorio si riunirà per valutare come muoversi di fronte ad una situazione sempre più precaria.
Oggi si sono ammalati altri due capigruppo Camera, a cui faccio i migliori auguri di guarigione. Le firme per il Parlamento a distanza sono arrivate a 114, ma cosa dobbiamo ancora attendere? Forse qualcuno pensa come Don Ferrante nei Promessi Sposi che la pandemia
— StefanoCeccanti (@StefanoCeccanti) October 16, 2020
Ma le cose non sono così semplici. L’articolo 64 della Costituzione al comma 3 recita: «Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento in seduta comune non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti». La disputa tra i costituzionalisti è già molto accesa. Con ragioni valide per sostenere la possibilità di derogare a quell’articolo e altrettanto solide per ritenere che non si possa in alcun modo superare l’ostacolo.
In Europa la regola del voto in presenza è stata superata in diversi casi. In Inghilterra il 12 maggio scorso la Camera dei Comuni ha votato per la prima volta da remoto. E in Spagna, come ha avuto modo di ricordare sul Blog delle Stelle il presidente della commissione Affari costituzionali Giuseppe Brescia (M5S), «dal 12 marzo è ammesso il voto telematico a carattere generale, già previsto in alcuni limitati casi sin dal 2011 dal regolamento. Questo tipo di voto è utilizzato solo per deliberazioni di carattere alternativo (sì/no) per la convalida dei decreti-legge pendenti e per l’autorizzazione dello stato di allarme proclamato dal Governo».
Anche al Parlamento europeo dal 20 marzo scorso è stato dato il via libera al voto a distanza. Nella sessione plenaria straordinaria del 26 marzo, a Bruxelles, sono stati quindi 687 i membri del Parlamento europeo (su 705) che hanno votato a distanza per la prima volta. In quell’occasione sono state approvate 3 proposte urgenti che contenevano la risposta dell’Unione Europea all’emergenza Covid-19. Ma anche negli Stati Uniti si è dovuto prendere atto dell’eccezionalità della situazione. Il 20 maggio il presidente della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, ha autorizzato formalmente per un periodo di 45 giorni la possibilità per i membri della Camera di esprimere il proprio voto a distanza.