«Siamo ancora dentro la pandemia e il costante aumento dei contagi ci impone di tenere l’attenzione altissima: stavolta però, forti dell’esperienza della scorsa primavera, dovremo adoperarci, rimanendo vigili e prudenti, pronti a intervenire nuovamente se necessario». Lo ha detto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in un passaggio dell’informativa tenuta in Aula alla Camera sulle ultime misure di contrasto al Covid. «Le strategie adottate per far fronte alla prima ondata del virus non possono essere le stesse che adottiamo oggi. Siamo più preparati. L’Italia è in una situazione ben diversa rispetto a quella del mese di marzo, anche se anche questa situazione si sta rivelando molto critica» ha aggiunto il premier. Conte ha ribadito l’appello a «evitare gli spostamenti non necessari e le attività superflue». Ma la crescita dei contagi non si arresta. E nel governo è tornato a farsi sentire il pressing per aggiornare il Dpcm del 18 ottobre, che a detta di molti è già superato dai numeri, che corrono velocissimi.
E così molte regioni stanno procedendo a misure più restrittive. Mentre l’esecutivo sceglie di procedere «in maniera graduale» con un obiettivo dichiarato: tenere aperte le attività produttive e le scuole. Ma se il numero dei nuovi positivi da Covid e soprattutto quello dei ricoverati continuerà ad aumentare in maniera veloce come in questi giorni, sembra scontato che si debba procedere ad altre chiusure progressive, se non addirittura a un nuovo lockdown. Palazzo Chigi al momento lo esclude, anche se una soglia è stata comunque fissata: 2.300 persone in terapia intensiva. È questo il livello di allarme che potrebbe far scattare misure drastiche.
Il punto di riferimento resta il documento adottato dagli esperti del Cts, il famoso studio sui quattro scenari che determinano gli indicatori di rischio e i relativi effetti sulle strutture ospedaliere. Se l’indice Rt sarà oltre l’1,5 per tre settimane consecutive, scatterà il livello «alto» di rischio, il peggiore, cioè quello che richiede tutto il necessario per contenere contagi e ricoveri. Tra fine settembre e inizio ottobre, l’indice Rt è salito a 1,06, la scorsa settimana a 1,17.
Il ministro della Salute Roberto Speranza e quello degli Affari regionali Francesco Boccia trattano con le Regioni per rendere le misure omogenee in tutta Italia. Obiettivo è far entrare in vigore norme, in particolare quelle relative al coprifuoco, che siano uguali per tutti. Se questa linea non fosse sufficiente, si potrebbe impedire di viaggiare da una Regione all’altra se non per «comprovate esigenze» e dunque motivi di lavoro, di salute o altre urgenze. Di fronte a un peggioramento della situazione la prime attività a dover chiudere i battenti sarebbero le sale giochi. Sorvegliati speciali rimangono i centri commerciali. Alcuni governatori hanno già deciso di farli rimanere chiusi durante il fine settimana, dove maggiore è la circolazione delle persone. Se la curva epidemiologica continuerà a salire, il governo potrebbe estendere questa misura a tutto il territorio nazionale. Lasciando però aperti i negozi di generi alimentari e le farmacie, proprio come ha già fatto la Lombardia.
La preoccupazione forte riguarda gli ospedali. Perché è vero che molte strutture sanitarie reggono, ma altre sono in affanno, in alcune città i posti cominciano a scarseggiare. E si è abbassata, rispetto alla primavera scorsa, l’età media di chi presenta sintomi anche gravi. Ieri le persone ricoverate in terapia intensiva erano 926. Una settimana fa, il 14 ottobre, erano circa la metà, 539. È questo il dato che allarma e su questo si stanno modulando gli interventi. Con la convinzione che oltre le 2.300 persone in condizioni gravi il sistema rischi di collassare.