Gli esperti del Comitato tecnico scientifico hanno approvato le linee guida per la cura soggetti dei positivi al coronavirus che non hanno bisogno del ricovero in ospedale. Bisogna valutare bene la situazione prima di scegliere i farmaci per la terapia domiciliare contro il Covid. Il cortisone, ad esempio, si può prendere in considerazione dopo almeno tre giorni di sintomi e se peggiora la saturazione dell’ossigeno nel sangue. L’eparina, che tanti medici invece utilizzano, andrebbe iniettata solo a chi rimane a letto a lungo a causa del virus. E vitamine e integratori non servono proprio a niente. Un documento più volte invocato, soprattutto dalle Usca e dai medici di famiglia che lo attendono praticamente dall’inizio della pandemia.
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Le linee guida del Cts dovrebbero mettere fine alla giungla dei protocolli diffusi finora sulla terapia domiciliare più efficace da seguire. Sono decine i soggetti, tra Asl, Ordini dei medici, associazioni di specialisti che in questi mesi hanno dato indicazioni per evitare che i malati che vadano ad affollare i pronto soccorso. Primo fra tutti quello dell’ordine dei medici della Lombardia, documento che tra le altre cose stabilisce l’utilizzo del cortisone da inserire nella terapia solo in caso di problemi di saturazione e febbre almeno da 5 giorni. Aspetto questo, che il documento del Cts conferma, stabilendo l’uso cortisonico «solo in caso di emergenza per evitare di aggredire il sistema immunitario» e comunque non prima delle 72 ore.
Inoltre, il documento degli esperti sottolinea l’importanza del saturimetro: «L’utilizzo diffuso di questo strumento potrebbe ridurre gli accessi potenzialmente inappropriati ai pronto soccorso». Il limite di saturazione accettabile, tenuto anche conto del margine di errore degli strumenti da casa, è del 92%. Quando il medico assiste a domicilio persone con pochi sintomi deve appunto far misurare l’ossigenazione di frequente, trattare la febbre con il paracetamolo e assicurarsi che il pazienti si idrati e mangi. L’eparina non va usata «se non nei soggetti immobilizzati per l’infezione in atto». Del resto non ci sono prove di un beneficio clinico dal suo uso su chi non è ospedalizzato o comunque immobilizzato.
Poi ci sono gli antibiotici, che vanno dati solo se c’è febbre per oltre 72 ore e il quadro clinico fa sospettare che sul problema virale si sia innestata una infezione batterica. L’idrossiclorochina non va usata, dicono gli esperti, e non vanno fatti farmaci con l’aerosol se ci sono conviventi non colpiti dal virus, visto che quel sistema è molto contagioso. Infine, «non esistono a oggi evidenze solide e incontrovertibili di efficacia di supplementi vitaminici o integratori alimentari, a esempio la vitamina D, la lattoferrina, la quercitina, il cui utilizzo per questa indicazione non è quindi raccomandato».