Lavoratori autonomi, precari, donne, giovani: sono loro, da sempre fragili, ad aver pagato il prezzo più alto della crisi innescata dal coronavirus. E non sarà certo la “bonus economy”, la politica dei sussidi messa in atto dal governo a risolvere la loro condizione. È questa, in estrema sintesi, l’Italia raccontata nel 54esimo rapporto Censis. «L’epidemia – scrive l’istituto di ricerca – ha squarciato il velo sulle nostre vulnerabilità strutturali», allargando la frattura tra garantiti e non garantiti.
L’Italia resta un Paese profondamente diseguale: il 3% degli adulti, possiede il 34% della ricchezza. Quaranta sono i miliardari e sono aumentati sia per numero che per patrimonio durante la prima ondata della pandemia. Questo mentre i più deboli pagavano il conto più salato: il 90,2% degli italiani è convinto che l’emergenza e il lockdown abbiano danneggiato maggiormente le persone più vulnerabili e ampliato le disuguaglianze sociali. Per l’85% degli intervistati la crisi sanitaria ha confermato che la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza di un posto di lavoro – su tutti i 3,2 milioni di dipendenti pubblici e i 16 milioni di percettori di pensione – e gli altri. Nel mondo del lavoro autonomo, solo il 23% ha continuato a percepire gli stessi redditi familiari di prima del Covid-19.
La crisi occupazionale è più dura per giovani e donne: sono 457.000 i posti di lavoro occupati da giovani e donne e persi per la crisi, mentre sono 654.000 i lavoratori indipendenti o a termine senza impiego. Ad essere colpiti sono soprattutto il settore degli alberghi e della ristorazione, l’industria in senso stretto, le attività immobiliari, professionali e i servizi alle imprese, il commercio, dove però la perdita di lavoro riguarda soprattutto gli adulti. Nel secondo trimestre di quest’anno, il tasso di occupazione totale presenta un divario di oltre 18 punti sfavorevole alle donne. Solo 32 su 100 tra i 15 e i 34 sono occupate, mentre lavora una su due delle donne tra i 25 e i 49 anni con figli in età scolare. Ma il dato più preoccupante riguarda il numero delle scoraggiate: oltre due milioni di donne (il 93% di quelle che potrebbero lavorare) hanno dichiarato di essere disponibili a lavorare, ma non cercano un lavoro. L’aspettativa negativa rispetto alla possibilità di trovare un’occupazione condiziona il comportamento di 862.000 donne, 4,8% in più dell’anno scorso.
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Le misure di sostegno messe in campo per sostenere i più colpiti hanno coinvolto oltre 14 milioni di beneficiari, per una spesa di 26 miliardi. Circa 4 milioni di lavoratori indipendenti hanno avuto accesso all’indennità di 600 euro, oltre a 2,5 milioni di liberi professionisti o iscritti alla gestione separata Inps. Anche 1,4 milioni di commercianti, 1,2 milioni di artigiani e circa 300.000 coltivatori diretti hanno avuto una compensazione della perdita di reddito. Ma gli italiani come valutano gli aiuti? Positivamente i giovani, molto meno gli anziani, secondo cui i bonus generano dipendenza e debito pubblico. Solo il 17,6% degli imprenditori ritiene comunque le misure di sostegno sufficienti, in generale il 75,4% degli italiani è scettico.
A fine 2019, 4.593.400 persone, il 7,7% della popolazione (per il 30% stranieri), era in povertà assoluta, anche se il bilancio risultava positivo rispetto all’anno precedente anche grazie al reddito di cittadinanza. La crisi ha fatto aumentare del 22,8% le persone che percepiscono il sussidio, soprattutto stranieri, i quali restano però penalizzati dal duro requisito dei dieci anni di cittadinanza italiana. Ma il nostro è sempre un paese senza mobilità sociale, visto che il 50,3% dei giovani vive in una condizione socio-economica peggiore dei genitori, mentre al tempo stesso la pandemia ha tagliato le gambe anche alla voglia di imprenditorialità: oggi solo il 13% considera un’opportunità avviare un negozio o uno studio professionale.
Gli italiani si dichiarano sfiduciati sia verso le istituzioni comunitarie (nutre fiducia solo il 28%) sia verso il governo e il parlamento nazionali (solo il 29% e il 26%). Governo al quale, tuttavia, gli italiani sono pronti ad affidare le decisioni su cosa si può fare oppure no, rinunciando ai propri diritti civili per maggiore sicurezza. Quasi l’80% si dice a favore della stretta in vista delle prossime festività e «chiede di non allentare le restrizioni o di inasprirle». Il 77,1% vuole pene severe per chi non indossa mascherine o non rispetta il distanziamento, il 56,6% chiede addirittura il carcere per i contagiati che non stanno in quarantena. Infine, a sorpresa, quasi la metà degli italiani, 43,7%, sarebbe favorevole alla reintroduzione della pena di morte. Più inaspriti e più scettici, insomma, sono gli italiani dopo la crisi.