I negoziati sulla Brexit si aggiornano ancora, e il futuro delle relazioni commerciali tra Regno Unito e Unione europea è ancora tutto da scrivere. I colloqui erano iniziati nove mesi fa, guidati da Barnier e David Frost, capo della delegazione britannica su Brexit, e sarebbero dovuti terminare a luglio, poi a ottobre; ora si teme che non ci sarà un accordo entro il 31 dicembre, l’ultima data disponibile. Boris Johnson e Ursula von der Leyen spingono per accelerare i tempi: «Abbiamo accolto con favore che ci siano stati progressi in molte aree – afferma un comunicato congiunto – Ciononostante, rimangono differenze significative in tre campi. Pur riconoscendo la serietà di queste divergenze, abbiamo concordato che siano intrapresi ulteriori sforzi per vedere se possono essere risolte».
I negoziati riprendono, e si spera di raggiungere una intesa giusto in tempo per venire approvata al Consiglio europeo di giovedì prossimo. Anche se i leader non negoziano direttamente lasciando tutto nelle mani della Commissione, da qualche giorno, da più di uno Stato membro, si levano timori per un accordo troppo favorevole al Regno Unito che possa danneggiare l’immagine dell’Ue. Macron, ad esempio, ha già detto esplicitamente che non voterà un’intesa a tutti costi, ma che ne valuterà i contenuti.
Finora l’accordo è stato impossibile per profonde divergenze su alcuni punti specifici: le norme comuni per evitare la concorrenza sleale, il cosiddetto “level playing field” (cioè gli standard che il Regno Unito non potrà abbassare nella speranza di attirare investimenti stranieri e fare concorrenza all’Unione Europea); il meccanismo di risoluzione delle controversie, cioè a quale a organismo giuridico demandare le dispute future; e le quote sulla pesca con la definizione dello sfruttamento delle acque tra Gran Bretagna, Francia e Danimarca.
«Entrambe le parti hanno sottolineato che nessun accordo è fattibile se questi problemi non vengono risolti», ha detto la presidente della Commissione Ue von der Leyen, confermando di fatto che la questione è di principio e non di sostanza. Gli ostacoli rimasti riguardano solo una piccola parte di un testo che per il resto è già chiuso. Ma Johnson non può cedere su nessun dettaglio che abbia a che fare con l’affermazione della sovranità di Londra, perché rischierebbe di far passare in patria il messaggio di una Brexit tradita. Da parte sua anche l’Unione europea, al di là degli interessi dei pescatori francesi e danesi, non ha intenzione di fare ulteriori concessioni e rendere la vita troppo semplice ad un Paese che ha deciso di uscire e a cui guarderà chi volesse intraprendere la stessa strada.
Il tempo stringe e una soluzione ancora non si vede all’orizzonte. Uscire definitivamente dall’Ue senza un accordo commerciale sarebbe disastroso per l’economia britannica: da un giorno all’altro sui prodotti britannici sarebbero imposti pesanti dazi che farebbero aumentare notevolmente il loro prezzo finale, rendendoli molto meno competitivi. Dato che il Regno Unito esporta molti dei propri beni nei paesi dell’Unione Europea – parliamo del 46% delle esportazioni totali – le conseguenze sarebbero potenzialmente catastrofiche per interi settori dell’economia britannica. Un eventuale no deal danneggerebbe anche i paesi europei che hanno maggiori legami col Regno Unito, in particolare l’Irlanda. È evidente che entrambe le parti stiano cercando di tirare la corda per cedere soltanto all’ultimo minuto su una serie di posizioni: ma il rischio di questo stallo è che a un certo punto non ci saranno più i tempi tecnici per trovare un accordo.