E chi se lo dimenticherà, questo 2020. Un anno strano, scandito da paure, ansie, regole, distanze e restrizioni. Un anno di vita sospesa, che in molti vorremmo solamente lasciarci alle spalle e dimenticare al più presto. E che invece sarà ricordato per le tante vittime di questa pandemia. Era il 31 dicembre del 2019 quando le autorità sanitarie di Wuhan comunicano alcuni casi di «polmonite virale» sul loro sito. Pochi giorni dopo l’Oms annuncia che le autorità sanitarie cinesi hanno identificato il patogeno responsabile delle misteriose polmoniti di Wuhan: si tratta di un nuovo coronavirus ancora sconosciuto, battezzato inizialmente 2019 nCov (nuovo coronavirus del 2019). Il virus inizia subito a fare paura, perché appartiene alla stessa famiglia di Sars e Mers, due delle più pericolose malattie infettive gli ultimi decenni. Ma in questa fase i timori sono contenuti, non ci sono ancora conferme che il virus possa trasmettersi da uomo a uomo e il governo cinese annuncia che le indagini svolte sembrano negare il rischio. Il 10 gennaio viene pubblicata la sequenza genetica del virus, e nei giorni successivi in tutto il mondo iniziano gli sforzi per produrre kit diagnostici.
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Dopo aver smentito per settimane i rischi, il 21 gennaio il governo cinese ammette che il virus è trasmissibile tra esseri umani, e risulta anzi anche particolarmente infettivo. A questo punto ha già ucciso 4 persone e i casi confermati sono saliti a circa 200. Diversi casi sono ormai stati identificati anche fuori dal paese (in Thailandia, Giappone, Corea, Stati Uniti e Francia). Il 23 gennaio il governo cinese decide di agire, e sceglie la linea dura: arriva il primo lockdown, che chiude a casa oltre 18 milioni di cinesi a Wuhan e nelle città limitrofe. Il 30 gennaio il presidente del Consiglio Conte e il ministro della Salute Speranza annunciano che sono stati identificati i primi pazienti anche in Italia. Si tratta di una coppia di coniugi cinesi in viaggio nel nostro paese, ricoverati in isolamento allo Spallanzani di Roma. Il ministro Speranza annuncia la chiusura del traffico aereo da e per la Cina. Il giorno seguente, 31 gennaio, l’Oms dichiara che la nuova malattia, ancora senza nome, è ora classificata come emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale. Il Consiglio dei Ministri dichiara lo stato di emergenza sanitaria in Italia.
L’11 febbraio l’Oms annuncia che il nuovo virus ha finalmente un nome: sentiamo parlare per la prima volta di Covid-19 (Coronavirus disease 2019) e del suo agente eziologico, il virus Sars-Cov-2. Il 20 febbraio inizia l’epidemia italiana. Il paziente italiano numero uno si presenta all’ospedale di Codogno con i sintomi di una leggera polmonite. Viene rimandato a casa con una prescrizione di antibiotici, perché in quel momento i criteri per sottoporre i pazienti ad un tampone richiedevano un contatto sospetto con qualcuno proveniente dalla Cina. Nei giorni seguenti le sue condizioni peggiorano, viene sottoposto a tampone molecolare nonostante le prescrizioni contrarie del Ministero e viene trovato positivo. Si iniziano a sottoporre a tampone altri casi sospetti, e il 20 vengono confermati 16 casi autoctoni di Covid-19: 14 in Lombardia e 2 in Veneto. Il 23 febbraio arriva il primo decreto legge che impone l’isolamento nei comuni colpiti dall’epidemia: sono 10 nella provincia di Lodi e uno in provincia di Padova.
Inizia ufficialmente la stagione dei Dpcm: il 5 marzo viene sospesa la didattica nelle scuole e nelle università di tutta la penisola, l’8 marzo si estende la zona ad altre 26 province del Nord Italia, e il 9 marzo viene annunciato il primo lockdown nazionale, che andrà avanti fino al 3 maggio. Dopo settimane di attesa e di critiche, l’11 marzo il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, annuncia che Covid-19 è stata dichiarata ufficialmente una pandemia.
Il 2 aprile data viene superata ufficialmente la soglia del milione di contagi in tutto il mondo. I morti sono oltre 53mila, e il virus ha raggiunto ormai i quattro angoli del globo. Gli Usa hanno superato i 100mila casi, diventando il nuovo epicentro dell’epidemia: l’11 aprile i morti americani raggiungono quota 20mila, strappando al nostro paese il triste primato dei decessi legati a Covid 19, che detenevamo da metà marzo quando i morti italiani hanno superato quelli cinesi. Il 29 aprile un trial dell’Nih suggerisce l’efficacia del Remdesivir, farmaco che dai dati dell’agenzia americana velocizzerebbe del 31% i tempi di dimissione dei pazienti Covid. Riceve anche l’approvazione di emergenza dell’Fda per il trattamento dell’infezione da Sars-Cov-2. L’Europa segue a stretto giro, e il farmaco viene approvato dall’Ema a luglio.
Il 4 maggio l’Italia esce dal lockdown. Il calo dei contagi permette finalmente di allentare le regole, anche se il ritorno alla normalità è lento, e progressivo. Inizialmente riaprono solamente le attività essenziali, e si torna a poter uscire di casa per incontrare parenti e amici, previo il rigido rispetto delle regole di distanziamento sociale. Il 18 riaprono negozi, musei, bar e ristoranti, e si tornano a celebrare le funzioni religiose. Il 25 è la volta dei centri sportivi, dal 3 giugno si torna a circolare tra regioni.
Il 15 giugno arriva Immuni, la app per il contact tracing realizzata gratuitamente dalla società Bending Spoons. Nonostante la pubblicità la app stenta però a decollare: ad agosto sono appena 5 milioni gli utenti che l’hanno installata sul proprio smartphone. A ottobre circa 7 milioni. Si scopre inoltre che le Asl non avevano l’obbligo di inserire i codici dei pazienti positivi nel database, rendendo di fatto inutile l’applicazione.
Il 21 luglio i leader Ue hanno trovato l’accordo sul piano straordinario di aiuti, il Recovery Fund, per i paesi maggiormente colpiti dall’epidemia. Una vittoria per l’Italia, che si vede destinare oltre 200 miliardi sui 750 messi a disposizione dal piano.
L’estate ha visto l’epidemia procedere a singhiozzo, con nazioni in cui la situazione è migliorata fino a spingere i più ottimisti a ritenerla storia passata (come in Italia) e altre in cui il virus non ha mai lasciato la presa. Il 22 agosto nel mondo si è superata la soglia degli 800mila morti, soprattutto sulla spinta dell’alto numero di decessi registrati in Usa, India, Sud Africa, Brasile e altre nazioni del Sud America.
A settembre molti paesi europei hanno visto tornare alla carica il virus. L’Italia inizialmente ha sembrato reggere meglio dei vicini, ma la curva epidemica ha iniziato a impennarsi verso i primi di ottobre. Dall’8 ottobre si corre ai ripari, imponendo l’utilizzo delle mascherine anche all’aperto sull’intero territorio nazionale. Non è sufficiente: la corsa del virus continua inarrestabile, e si arriva di nuovo al record di decessi, con quasi mille morti al giorno.
Per cercare di arginare la seconda ondata epidemica, il nuovo Dpcm del 3 novembre stabilisce un sistema di semafori regionali che divide il paese in zone rosse, arancioni e gialle, in ordine decrescente di gravità dell’epidemia. In tutta la nazione viene instaurato un coprifuoco notturno tra le 22 e le 5 di mattina. Novembre riserva anche le prime buone notizie dell’anno. Pfizer annuncia infatti i risultati del trial di fase 3 per il suo vaccino anti covid. L’efficacia sembra aggirarsi attorno al 90%. Pochi giorni e arriva anche l’annuncio della rivale Moderna: vaccino efficace oltre il 95%.
Il Regno Unito decide di approvare il vaccino anti-covid della Pfizer senza attendere il parere dell’Ema. Il 9 dicembre è la prima nazione occidentale a iniziare la campagna di vaccinazioni di massa contro Covid 19. Seguono gli Usa, che l’11 dicembre concedono l’approvazione emergenziale al vaccino di Pfizer. Il 21 dicembre arriva finalmente l’annuncio della Commissione Europea: a seguito del parere positivo espresso dall’Ema il vaccino di Pfizer riceve l’autorizzazione per l’immissione in commercio nei paesi Ue. La campagna vaccinale si apre il 27 dicembre, con una grande giornata di vaccinazioni in tutta Europa. In Italia vengono effettuate le prime 9.700 dosi.
Il 2020 è stato un anno lungo, inedito e drammatico. Sappiamo moltissimo di più rispetto all’inizio sul virus e sulle capacità di contrastarlo, anche se restano importanti zone d’ombra che solo il tempo potrà colmare. All’inizio della pandemia, ad esempio, non era chiaro se il virus desse immunità. Oggi sappiamo che i casi di reinfezione nel mondo ci sono, ma sono estremamente rari. La risposta naturale all’infezione è realizzata da anticorpi e linfociti e, a seconda delle ricerche, garantisce una durata di almeno 5-6 mesi. Sul contagio, le ricerche hanno evidenziato in maniera crescente il ruolo degli aerosol, evidenziando così la crescita del rischio durante la permanenza nei luoghi chiusi. Un altro ambito di studio è quello dei geni, dove emergono le prime ipotesi sul perché alcune persone si ammalino gravemente e altre in maniera asintomatica. Altre ipotesi si spingono a ipotizzare una genetica delle popolazioni che garantirebbe ad alcune una maggiore protezione dei rischi del virus. Quanto ai vaccini, non era chiaro se mai ne avremmo avuto uno. Invece, in undici mesi abbiamo avuto il via libera dell’Fda ed Ema a un vaccino ad mRna prodotto dalla Pfizer con risultati molto incoraggianti nei trial clinici e uno molto simile di Moderna (l’ok dell’Ema è atteso per il 4 gennaio).