Si chiama Maie-Italia 23 il gruppo di “costruttori” grazie a cui il premier Giuseppe Conte potrebbe continuare l’esperienza di governo. Il nuovo gruppo parlamentare al Senato si pone come obiettivo quello di «costruire uno spazio politico che ha come punto di riferimento Giuseppe Conte». Ricardo Merlo, presidente del Movimento per gli italiani all’estero (Maie), fornisce il contenitore a questo gruppo di “responsabili”. In realtà Merlo preferisce non chiamarli così, ma costruttori, perché «l’unica cosa che offriamo è una prospettiva politica per il futuro, per poter costruire un percorso di rinascita e resilienza».
L’invito è rivolto a quei colleghi senatori che sono «interessati a costruire e a lavorare da qui alla fine della legislatura per il bene del Paese e degli italiani», ha detto Ricardo Merlo in una intervista all’HuffPost. «Per ora siamo quattro senatori (De Bonis, Fantetti, Merlo, Cario, ndr) e tre deputati. Ma facciamo un appello pubblico e trasparente rivolto a tutti. Non offriamo né posti né prebende. Facciamo appello ai colleghi del Senato affinché si rendano conto che viviamo un momento difficile tra pandemia e crisi economica e sostengano la maggioranza nel voto di fiducia della prossima settimana e nelle altre votazioni».
Con Maie-Italia 23 abbiamo il primo vero e proprio movimento politico che fa riferimento al premier Giuseppe Conte. Avendo già presentato il simbolo alle ultime elezioni, possono formare un gruppo parlamentare se raggiungono almeno quota 10 parlamentari. Se si escludono i 18 senatori di Italia Viva, al Senato si parte da 151 voti. Ne mancano dieci, dunque, per la soglia politica minima necessaria per la maggioranza assoluta fissata a quota161. Non sono pochi, è la consapevolezza del Partito democratico. «È chiaro che si può evitare una crisi avendo anche un numero in più, ma non governare avendo un voto in più», afferma il vicesegretario dem Andrea Orlando.
I 151 voti giudicati certi sono questi: 92 del Movimento, 35 del Pd, 8 delle Autonomie (compresa la senatrice a vita Elena Cattaneo), 16 del Misto (inclusi Mario Monti, Sandra Lonardo Mastella, Luigi Di Marzio e Gregorio De Falco, Maurizio Buccarella, Sandro Ruotolo, i 6 di Leu, i 4 del Maie). Dunque, il minimo sindacale per la sopravvivenza del Conte II passa dalla conquista di dieci “costruttori”.
È possibile che in Italia Viva si possa verificare uno smottamento: i nomi degli incerti, pronti a lasciare Renzi per tenere in piedi un esecutivo europeista e antisovranista, secondo quanto riporta Repubblica, sono quelli di Riccardo Nencini e Vincenzo Carbone, Eugenio Comincini e Leonardo Grimani, Gelsomina Vono (che però ha smentito di voler lasciare Iv) e Donatella Conzatti. Quest’ultima, però, sembra sfilarsi: «Non farò parte dei responsabili. Rimaniamo disponibili a un patto di legislatura. Se così non sarà, faremo politica compatti dai banchi dell’opposizione».
Lo stesso potrebbe verificarsi in Forza Italia, dove l’attenzione è rivolta soprattutto a tre senatori: Barbara Masini, Anna Carmela Minuto e Laura Stabile. Anche se la senatrice Masini smentisce: «Hanno fatto male i conti, io non sono tra i costruttori». C’è da capire se invece sarà confermato il possibile coinvolgimento di Paola Binetti, eletta con l’Udc. La senatrice afferma che è disposta a sostenere il premier solo assieme a tutto il partito. Un suo collega centrista, Antonio Saccone, boccia intanto l’ipotesi di un patto tra l’Udc e Conte: «Non daremo una mano al premier, rimaniamo nel centrodestra».
I vertici dell’esecutivo pensano di avere comunque in tasca almeno sei o sette dei dieci senatori necessari a sopravvivere, toccando quindi virtualmente quota 157-158: secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore si potrebbe puntare anche a Lello Ciampolillo, Carlo Martelli e Marinella Pacifico (Gruppo Misto). Non bisogna poi dimenticare tre senatori a vita che non partecipano frequentemente al voto d’Aula: Renzo Piano, Carlo Rubbia e Liliana Segre. Un pressing discreto è partito e punta a coinvolgerli, sommando il loro sostegno a quello di Monti e Cattaneo. Ma certo, arrivare a 161 voti con il sostegno di cinque senatori a vita riapre il dilemma della maggioranza «stabile» chiesta dal Quirinale.