Non si intravede ancora una soluzione al caos provocato nel Partito democratico dalle dimissioni del segretario Nicola Zingaretti. Quello che potrà accadere all’assemblea nazionale convocata per sabato 13 e domenica 14 marzo è ancora tutto da scrivere. L’organismo ha davanti a sé due strade: eleggere subito un nuovo segretario che rimanga in carica fino al 2023, oppure avviare la fase congressuale, designando un reggente che traghetti il partito alla scelta.
Non si tratta solo di scegliere un nome, e l’impresa già sarebbe assai complessa, ma di decidere la strada che il Partito democratico vuole intraprendere. Affrontare la sfida del Recovery plan e l’elezione del capo dello Stato con un segretario di facciata, un Vito Crimi in salsa democratica, sarebbe probabilmente suicida.
Tra i dirigenti democratici c’è chi spera in un ripensamento di Zingaretti. Un pressing che però non sembra avere molte chance di riuscita perché il governatore non sembra intenzionato a tornare sui suoi passi. Fra i nomi che circolano, i più quotati sono quelli di Roberta Pinotti e Anna Finocchiaro. Ma c’è anche quello del vicesegretario Andrea Orlando e di Piero Fassino. Appena uscite le indiscrezioni sul suo nome, Enrico Letta si è tirato fuori via social ma c’è chi tentare di convincere l’ex premier nella consapevolezza che non basta un “traghettatore” ma serva un segretario che abbia anche una leadership politica in grado di affrontare la sfide dei prossimi mesi: dalle amministrative in autunno all’elezione del successore di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica.
A scegliere il segretario sarà comunque la maggioranza del partito. Maggioranza che, tuttavia, non è monolitica. Ci sono i componenti di Areadem, la corrente di Franceschini; quelli vicini ad Andrea Orlando; altri eletti con la mozione che faceva capo a Maurizio Martina, senza dimenticare i zingarettiani, naturalmente. Aree che nelle settimane seguite alla caduta del governo Conte non hanno sempre marciato compatte e fra le quali sono emerse anche frizioni dopo le dimissioni di Zingaretti.
Un invito a mettere da parte i dissidi viene proprio da Zingaretti: «Basta polemiche. C’è stato in questi mesi un gruppo dirigente vicino a me a cominciare da Orlando, Franceschini, D’Elia, Cuperlo, Zanda, Cuppi, Bettini, De Micheli, Oddati e Chiara Braga e tanti altri e tanti sindaci amministratori e dirigenti nei territori», spiega il governatore del Lazio. «Ho fiducia che ci sarà la forza e l’autorevolezza per fare chiarezza dove io non sono riuscito e rilanciare insieme un progetto per l’Italia». Nell’appuntamento dell’assemblea nazionale del 13 e 14 marzo si capirà di più che strada vorrà intraprendere in futuro il Partito democratico.