Mentre l’Europa accumula ritardi e riduzioni delle forniture, nel Regno Unito metà della popolazione adulta ha ricevuto una dose di vaccino per il coronavirus. L’obiettivo del governo di Boris Johnson è quello di arrivare a vaccinare tutti i maggiori di 18 anni entro la fine di luglio. Secondo i dati pubblicati dal Servizio Sanitario Nazionale oltre 26,9 milioni avrebbero ricevuto almeno un’iniezione di vaccino, esattamente il 51% della popolazione adulta.
Questo vantaggio rappresenta, di fatto, il miglior manifesto pubblicitario per la Brexit e per la scelta autonomista del Regno Unito. Ironia della sorte, la campagna vaccinale britannica è stata di fatto inaugurata, a inizio dicembre, dall’autorizzazione d’emergenza concessa al vaccino Pfizer-Biontech da parte della Medicines and Healthcare products Regulatory Agency, che ha potuto accelerare sul superamento degli oneri burocratici grazie a una norma della legislazione europea invocata dal governo britannico a fine novembre che consente agli enti regolatori nazionali di giocare d’anticipo rispetto alle scelte dell’Ema.
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Una manovra che ha permesso al Regno Unito di programmare autonomamente la campagna di vaccinazione sganciandola dalle decisioni prese da Bruxelles anche prima del completamento degli accordi per le relazioni politico-commerciali post-Brexit e di sfruttare così la possibilità di accordi anticipati con condizioni favorevoli. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la metà della popolazione ha ricevuto la prima dose di vaccino, la campagna di immunizzazione procede a ritmo sostenuto e prende il via il programma per uscire definitivamente dal lockdown.
Soddisfatto Matt Hancock, Segretario di Stato per la Salute, che ha dichiarato: «È un enorme successo. E voglio dire molte, molte grazie a tutte le persone coinvolte, compresa la metà di tutti gli adulti che si sono fatti avanti. È così importante perché questo vaccino è la nostra via d’uscita da questa pandemia». Per vaccinare più persone possibili la distanza fra prima e seconda dose non è più di 4 settimane ma di 12. Secondo il portale Our World in Data, il numero di dosi di vaccino distribuite nel Regno Unito è di 44 ogni 100 persone. Negli Stati Uniti al momento è di 35 ogni 100 persone mentre la media dell’Europa è 12 ogni 100 persone.
Rivendicare un successo così importante nei primi mesi di Brexit compiuta fa parte della stessa strategia: prendere il controllo della politica britannica, tenere unite le nazioni che compongono il Regno e frenare le spinte centrifughe dell’Irlanda del Nord e della Scozia. Al contrario, la settimana che si è appena conclusa è stata estremamente dannosa per l’Ue e il caso dei rapporti con l’Ema rappresenta un allarme su come la delegittimazione delle istituzioni europee possa smembrarle e svuotarle di significato, compromettendo non solo gli orizzonti di una maggiore integrazione europea, ma anche la capacità di resilienza di fronte alle crisi.
Se è vero che uno dei motivi per cui i leader dell’Ue continuano a screditare o minacciare AstraZeneca è cancellare l’idea di una storia di successo britannico, la sensazione di subire una disparità di trattamento non fa che peggiorare le cose. L’inutile blocco di tre giorni delle vaccinazioni con AstraZeneca è emblematico. L’Ema ha dovuto riesaminare la questione e dare il “via libera” a qualcosa che non aveva mai bloccato, ma senza poter escludere del tutto una correlazione con i casi di trombosi. Il risultato è che Francia, Germania, Italia e Spagna hanno invertito la rotta e ripreso le vaccinazioni, mentre Svezia, Danimarca e Norvegia (Paese che non fa parte della Ue ma è comunque legato all’Agenzia del farmaco europea) continuano a bloccarne l’utilizzo. L’Ema così ne esce a pezzi. Intanto Italia e Germania lavorano per la produzione e l’utilizzo del vaccino russo Sputnik V. «Se il coordinamento europeo funziona bisogna seguirlo, se non funziona bisogna andare per conto proprio», ha detto Draghi.