Inizia il semestre bianco: fino a il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non potrà sciogliere le Camere per indire nuove elezioni. Atteso, temuto, evocato per tutta la legislatura, è il periodo di sei mesi al termine del mandato settennale durante il quale il Capo dello Stato- secondo il dettato costituzionale all’articolo 88 – non può utilizzare il suo potere più grande, ossia quello di sciogliere le Camere e indire nuove elezioni politiche. Una norma che fu introdotta dai nostri padri costituenti nel timore che un Capo dello Stato si potesse avvalere di tale potere per favorire, attraverso elezioni politiche anticipate, la formazione di un Parlamento meglio disposto verso una sua eventuale rielezione.
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Lo stabilisce l’articolo 88 della Costituzione: «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato». Nel 1991, per evitare quello che fu definito un “ingorgo istituzionale” per la coincidenza della fine della legislatura con la fine del mandato presidenziale di Francesco Cossiga, si modificò l’articolo 88, aggiungendo un ultima frase: «Salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura».
Evitare «un piccolo colpo di stato legale»: era questo il pericolo che Renzo Laconi, membro dell’Assemblea costituente per il Pci, tratteggiò davanti ai colleghi impegnati a scrivere la nostra Costituzione se non fosse stata tolta ai capi dello Stato la facoltà di sciogliere le Camere durante gli ultimi sei mesi del loro mandato. Secondo l’esponente comunista, infatti, c’era «il rischio» che un presidente in scadenza congedasse il Parlamento soltanto «per aver prorogati i propri poteri e avvalersi di questo potere prorogato per influenzare le nuove elezioni».
Tradotto: senza più la minaccia di nuove consultazioni a livello nazionale, i partiti si potranno sentire liberi di comporre nuove maggioranze a loro piacimento o di mettere a Palazzo Chigi un premier nuovo. Ma è davvero così nella situazione politica attuale? Poteva essere così finché a Palazzo Chigi sedeva Giuseppe Conte con maggioranze poco stabili (prima quella giallo-verde tra M5s e Lega, poi quella giallorossa con Pd, Leu e i renziani di Italia viva), e la fine del Conte due per mano di Matteo Renzi ha in effetti in un certo senso anticipato quello che sarebbe potuto accadere più avanti.
Ma con l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi nel febbraio del 2021 la situazione politica è del tutto cambiata: è il premier la garanzia del governo, visto che al suo nome è legato l’accordo che ci lega a Bruxelles fino ad almeno il 2026 con il Recovery plan. In un certo senso nell’attuale situazione politica, come dice il costituzionalista e deputato dem Stefano Ceccanti, il semestre bianco è come la “tigre di carta” evocata a suo tempo da Mao Tse Tung a proposito della minaccia Usa di attacchi nucleari: nessuno pensa davvero di far cadere Draghi. Piuttosto potremmo assistere nei prossimi mesi a un rinvigorimento dei veti dei partiti, come si è visto in queste ore con le impuntature del M5s sul pacchetto Cartabia sul processo penale che supera la riforma della prescrizione targata Bonafede.
Ma i poteri del Presidente non si esauriscono nel potere di scioglimento delle Camere. Mattarella può sempre intervenire pubblicamente per fermare una legge o anche rimandarla alle Camere rifiutandosi di firmarla. E a ben vedere ha ancora nelle sue mani un deterrente quasi pari alla minaccia di sciogliere le Camere: la minaccia di sue dimissioni anticipate.