Prima una telefonata con Vladimir Putin, poi un’altra con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Mario Draghi sente il peso della presidenza italiana del G20 e continua la serie di contatti internazionali in vista di una possibile riunione straordinaria dei venti Paesi più rappresentativi del mondo. L’obiettivo è quello di costruire un consenso internazionale su alcuni punti chiave per il futuro dell’Afghanistan: lotta al terrorismo e al traffico di droga, tutela diritti umani e delle libertà fondamentali, assistenza umanitaria a favore della popolazione.
Durante il colloquio telefonico Biden e Draghi hanno sottolineato l’importanza di proseguire con uno «stretto coordinamento» tra il personale militare e civile americano e italiano a Kabul, «che stanno lavorando senza sosta per evacuare i propri cittadini e gli afghani che hanno coraggiosamente sostenuto la Nato». Sono state inoltre discusse le prospettive dell’azione della Comunità internazionale nei diversi contesti, a partire da G7 e G20, a favore della stabilità e dello sviluppo dell’Afghanistan.
La data non è stata ancora fissata ma è assai probabile che il G20 straordinario sulla crisi afghana presieduto dall’Italia si terrà a Roma la prima metà di settembre. Un vertice che fin dal giorno della presa di Kabul Mario Draghi ha individuato come il “tavolo del confronto” attorno al quale saranno seduti tutti i protagonisti della difficile partita sull’Afghanistan: dalla Russia alla Cina, dalla Turchia all’Arabia Saudita oltre ovviamente a Stati Uniti ed Europa.
Sul tavolo c’è anche il destino dei profughi e quindi della gestione dei flussi migratori ma anche la sicurezza per chi non può scappare e per le possibili infiltrazioni terroristiche in Occidente. Impossibile al momento prevedere quale possa essere l’esito del confronto. I colloqui avuti con Angela Merkel e Emmanuel Macron così come Boris Johnson sono serviti a mettere a punto una prima scaletta dell’ordine del giorno. Quello con Vladimir Putin, invece, a saggiare la disponibilità della Russia a trovare una soluzione comune.
Intanto, il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha annunciato che l’Afghanistan non potrà più accedere ai finanziamenti erogati dall’organizzazione, incluso un pagamento di quasi mezzo miliardo di dollari già calendarizzato, a seguito della conquista di Kabul da parte dei talebani. La decisione del Fondo riflette l’incertezza riguardo il riconoscimento di un governo talebano dell’Afghanistan da parte della comunità internazionale. Una decisione che sta coinvolgendo anche altri attori: dalla Banca mondiale a diverse banche americane e che significa concentrare sulla leva finanziaria uno degli strumenti per trovare un compromesso con i talebani. Anche solo due settimane fa chiunque sarebbe inorridito a finanziare un nuovo Emirato talebano costituito con la forza. Oggi, invece, la questione è paradossalmente anche un dilemma. Se si continua con gli aiuti, il risultato è sostenere un regime oscurantista. Se invece si interrompono, si innescherà una crisi umanitaria con l’inevitabile corollario di guerra civile e profughi. Il rompicapo ha il vantaggio di potersi trasformare in leva politica per spingere i talebani nella direzione desiderata.