La caccia è ripresa, ammesso che fosse mai finita. «I nostri comandanti hanno aggiornato il presidente e la vice sui piani per sviluppare i target dell’Isis-K», ha detto la portavoce della Casa Bianca Jean Psaki, dopo il vertice a cui hanno partecipato tutti i capi militari e dell’intelligence. «L’impegno a punire i colpevoli – ha aggiunto – resterà fino a quando non sarà assolto».
Il Pentagono ha promesso che le incursioni proseguiranno per vendicare il massacro di Kabul. Joe Biden ha usato parole simili a quelli dei suoi predecessori, costretti a rispondere ad attacchi sanguinosi. «Vi daremo la caccia e la pagherete», ha promesso agli autori della strage di Kabul. E il primo atto è arrivato con un raid di un drone nella regione afghana di Nangarhar dove è stato ucciso una delle menti dell’Isis-K, l’organizzazione terroristica che ha rivendicato l’attentato all’aeroporto di Kabul in cui hanno perso la vita 13 soldati americani e almeno 170 civili. Dunque Shahab al Muhajir, leader attuale della fazione, è in cima alla lista degli obiettivi. Come altri potrebbe essere nascosto nella provincia del Nangahar, contigua al Pakistan. O magari si è rifugiato più ad ovest, ma anche dall’altra parte del confine. Deve stare attento.
Le incursioni sono la reazione rapida, trasmettono un segnale però non garantiscono sempre dei risultati. Il nemico è sfuggente, lo devi scovare, non è un esercito con caserme e mezzi pesanti. Nell’Oceano Indiano, vicino alle coste del Pakistan, è comunque pronta la portaerei Reagan. La presenza era stata prevista in vista del ritiro, per dare protezione. Ora potrebbe servire per strikes contro i rifugi dello Stato Islamico-Khorasan (Isis-K), magari in tandem con incursioni di bombardieri strategici o appunto di droni Reaper MQ9. Insieme a target già designati potrebbero arrivare soffiate dai talebani o da qualche alleato locale.
Operazioni mirate per eliminare militanti, cosa già avvenuta da quando, nel 2015, il movimento ha alzato la sua bandiera nera. La tattica dell’uccisione di leader ha permesso di uccidere capi importanti, tuttavia la testa si è riformata. E qui si apre lo scenario accarezzato da molti: Washington alla fine dovrà trovare un modus vivendi con i mullah in un’attività di contro-terrorismo. L’ex nemico diventa partner perché c’è un nemico più «cattivo», l’Isis-K.
Adesso Biden deve fare anzitutto i conti con il rischio immediato di continui attacchi anti-americani a Kabul, che minacciano il completamento dell’evacuazione dei civili afghani, che cercano di sfuggire ai talebani. Il Pentagono ha lanciato nuovi allarmi su kamikaze, autobombe e razzi. Ma c’è di più: lo spettro del ritorno di organizzazioni terroristiche, in Afghanistan e altrove, in grado di mettere in dubbio l’intera strategia di ritiro. Sono partite richieste di immediate controffensive militari, di riunioni d’emergenza del Congresso e di estensioni della scadenza dell’abbandono di Kabul il 31 agosto. Ma dentro gli Stati Uniti, per l’amministrazione, le battaglie vanno oltre evacuazione e pericoli immediati. L’ha chiarito l’ex segretario alla Difesa Leon Panetta, decano democratico: l’incubo è quello di essere costretti a riportare truppe in Afghanistan dopo il ritiro. «Dovremo tornare per affrontare lo Stato Islamico. E probabilmente al-Qaeda quando risorgerà, come farà».